di Chiara Sacchetti
Facilmente assimilabile ad altre dee greche e non solo e che
vedremo, Ishtar è la dea sumerica della fertilità, dell’abbondanza, dell’amore
e dell’erotismo, che sosteneva le arti liberali, la conoscenza e la pietà. Con la sua sola presenza poteva favorire la
crescita della vegetazione e la maternità di esseri umani e animali. A lei era
dedicata una delle otto porte di Babilonia e i principali centri del suo culto
erano Uruk, dove c’era un famoso tempio chiamato l’é-anna (casa del cielo), Assur, Babilonia e Ninive.
Riproduzione della Porta di Ishtar a Babilonia, Museo di Berlino |
Figlia del dio del cielo Anu, il suo nome, versione semitica
di Inanna, tradotto letteralmente significa “signora del cielo”, mentre
etimologicamente viene dall’accadico TAR, ossia cerchio, e ISHTA, Signora,
quindi Signora del Cerchio della vita. Ma Ishtar non era sempre buona e
amorevole, e come tutte le Grandi Madri che abbiamo visto, di contro, poteva
trasformarsi in una dea terribile, che scatenava guerre e tempeste, per
difendersi da coloro che la contrastavano.
Per questa sua doppia indole veniva anche chiamata Signora
della Luce risplendente e identificata con il pianeta Venere, Stella del
mattino e Stella della sera, visibile per qualche ora prima dell’alba e lo
stesso prima del tramonto: la prima, figlia del Sole, diveniva colei che
portava sfide per il nuovo giorno, mentre la seconda, figlia della Luna, era la
dea dell’amore fisico che nella notte attira l’uomo verso la donna.
Ishtar era assimilata anche con la costellazione della Vergine
per la sua indole amorosa e il mito racconta di numerosi amanti che l’abbiano posseduta,
ma di cui lei non riusciva mai ad essere completamente soddisfatta: fra i suoi
amori si conta perfino Gilgamesh che invece, la rifiutò accusandola di essere
troppo voluttuosa, soprattutto anche nel timore di quello che accadeva a coloro
che si univano carnalmente a lei.
Ishtar circondata da due gufi, simbolo della notte e ai suoi piedi due leoni |
La sua storia d’amore e i risvolti che ne derivano ricorda
per alcuni aspetti, quella di Demetra per la figlia Persefone, ma anche quella
della stessa Iside per le sorti dell’amato Osiride. Il mito, descritto
nell’opera mesopotamica “Discesa di
Ishtar negli Inferi” racconta che la dea si innamorò perdutamente di Tammuz,
che purtroppo fu ferito a morte da un cinghiale nel giorno del solstizio
d’estate. La dea, che presiedeva anche alla nascita e alla crescita della
vegetazione, inconsolabile, decise di scendere nell’oltretomba, dove risiedeva
la sorella Ereshkigal, per riportare il suo amato sulla Terra. Nel Regno degli
Inferi, la dea dovette oltrepassare sette porte ed ad ognuna di queste dovette
lasciare qualcosa di prezioso, fino ad arrivare completamente nuda e quindi
indifesa al cospetto della Regina. Cominciò così dalla corona, simbolo del suo
potere, poi gli orecchini, la collana di perle, il pettorale d’oro e di pietre
preziose, la cintura richiamo del ciclo della vita, e infine anello e abiti,
assieme ogni volta ad un velo del suo abito. Man mano che le veniva tolto tutto
ciò, la dea perdeva la sua forza fino ad arrivare completamente indebolita
dalla sorella che la fece così prigioniera
scatenando contro di lei sette piaghe.
Tavoletta con un inno a Ishtar |
La lontananza di Ishtar dal mondo dei vivi stava però
mettendo in serio pericolo l’intera esistenza del mondo, gli alberi non davano
più i propri frutti e animali e uomini non si riproducevano più e soprattutto
non ne sentivano nemmeno la necessità: Ea, signore di tutti gli dei, decise
quindi di intervenire e di indire un consiglio degli dei stessi per ristabilire
le sorti e le precedenti condizioni. Fu deciso quindi di mandare un messaggero
che la cosparse con l’acqua facendola ritornare in forze e durante il viaggio
di ritorno, recuperati tutti i suoi ornamenti e quindi la forza, la dea riuscì
a riportare l’amato sulla Terra. Il ritorno della dea e di Tammuz riportò così alla vita l’intera umanità.
In una versione diversa, Ishtar stessa decide, (non sappiamo
per quale motivo), di scendere negli Inferi e di provocare la sorella: una
volta arrivata alla porta la dea richiamò i guardiani minacciando di
distruggere il cancello e di far uscire i morti. Ereshkigal, che non aspettava
altro, la fece entrare e dopo aver lasciato, come nell’altra versione, tutti i
suoi ornamenti, rendendo sterile per la sua assenza la terra, Ea decise di
plasmare un giovane di bell’aspetto per sedurre la dea degli Inferi e rimandare
Ishtar a casa. Così non accadde e seppur prima affascinata Ereshkigal poi decise
di maledire l’uomo, divenuto amante della sorella, ma di liberare ugualmente la
donna, ordinando a Namtar di innaffiarla proprio come una piante riportandola così in vita, il tutto in cambio del corpo
dell’amato: tale condanna vuole che solo una volta l’anno, per un solo giorno,
nel Solstizio d’Estate in cui avverranno i rituali consacrati a lui, Tammuz
potrà fare ritorno nel Regno dei Vivi.
La morte di Tammuz portò la dea in uno stato di lutto e con
lei tutte le altre donne , per un mese intero durante il quale avveniva un
digiuno rituale che poi verrà ripreso nelle cerimonie della religione islamica:
lo stesso si può dire per la “Danza dai sette veli” che richiama, in modo
palese, il viaggio di Ishtar negli Inferi dove è costretta a lasciare i suoi
ornamenti e appunto i suoi sette veli. Qui la simbologia è chiara: l’abbandono
del velo indica l’allontanamento dagli aspetti umani negativi in esaltazione a
quelli positivi, e il numero sette rispecchia i sette Chakra, i centri
energetici del corpo e i loro colori diversi che richiamavano i sette pianeti (allora
conosciuti) influenzando certi aspetti, pregi e difetti, di una persona.
Vaso raffigurante Ishtar |
L’iconografia di Ishtar la associa alla stella a otto punte
(simbolo fra l’altro anche della Vergine Maria ) e che richiama di nuovo il
pianeta Venere che ripercorre le stesse fasi in un arco di tempo di otto anni
terrestri. La più antica raffigurazione risale al 3000 a.C. a Uruk, dove la dea
indossa una lunga veste e sulla testa una tiara a corni, mentre va incontro a
Dumuzi, un pastore, dio della vegetazione e suo futuro sposo, apparentemente di
fronte al tempio ma è assai probabile per una convenzione iconografica che la
si intenda invece all’interno.
Nella
sua rappresentazione classica, Ishtar viene riprodotta completamente nuda,
perché la Verità non ha bisogno di coprirsi, sulla testa porta un emblema
lunare (la sua parte negativa ma anche sessuale). Nella mano destra infine una
coppa a simboleggiare l’abbondanza perché contiene il nettare della vita,
mentre nella sinistra un loto, il fiore che nasce nell’acqua chiaro riferimento
alla purezza.
Nessun commento:
Posta un commento