lunedì 14 ottobre 2019

Ishtar

di Chiara Sacchetti

Facilmente assimilabile ad altre dee greche e non solo e che vedremo, Ishtar è la dea sumerica della fertilità, dell’abbondanza, dell’amore e dell’erotismo, che sosteneva le arti liberali, la conoscenza e la pietà.  Con la sua sola presenza poteva favorire la crescita della vegetazione e la maternità di esseri umani e animali. A lei era dedicata una delle otto porte di Babilonia e i principali centri del suo culto erano Uruk, dove c’era un famoso tempio chiamato l’é-anna (casa del cielo), Assur, Babilonia e Ninive.

Porta di Ishtar, Museo di Berlino, riproduzione
Riproduzione della Porta di Ishtar a Babilonia, Museo di Berlino

Figlia del dio del cielo Anu, il suo nome, versione semitica di Inanna, tradotto letteralmente significa “signora del cielo”, mentre etimologicamente viene dall’accadico TAR, ossia cerchio, e ISHTA, Signora, quindi Signora del Cerchio della vita. Ma Ishtar non era sempre buona e amorevole, e come tutte le Grandi Madri che abbiamo visto, di contro, poteva trasformarsi in una dea terribile, che scatenava guerre e tempeste, per difendersi da coloro che la contrastavano.

Per questa sua doppia indole veniva anche chiamata Signora della Luce risplendente e identificata con il pianeta Venere, Stella del mattino e Stella della sera, visibile per qualche ora prima dell’alba e lo stesso prima del tramonto: la prima, figlia del Sole, diveniva colei che portava sfide per il nuovo giorno, mentre la seconda, figlia della Luna, era la dea dell’amore fisico che nella notte attira l’uomo verso la donna.
Ishtar era assimilata anche con la costellazione della Vergine per la sua indole amorosa e il mito racconta di numerosi amanti che l’abbiano posseduta, ma di cui lei non riusciva mai ad essere completamente soddisfatta: fra i suoi amori si conta perfino Gilgamesh che invece, la rifiutò accusandola di essere troppo voluttuosa, soprattutto anche nel timore di quello che accadeva a coloro che si univano carnalmente a lei.

Ishtar con due gufi e due leoni ai suoi piedi
Ishtar circondata da due gufi, simbolo della notte e ai suoi piedi due leoni

La sua storia d’amore e i risvolti che ne derivano ricorda per alcuni aspetti, quella di Demetra per la figlia Persefone, ma anche quella della stessa Iside per le sorti dell’amato Osiride. Il mito, descritto nell’opera mesopotamica “Discesa di Ishtar negli Inferi” racconta che la dea si innamorò perdutamente di Tammuz, che purtroppo fu ferito a morte da un cinghiale nel giorno del solstizio d’estate. La dea, che presiedeva anche alla nascita e alla crescita della vegetazione, inconsolabile, decise di scendere nell’oltretomba, dove risiedeva la sorella Ereshkigal, per riportare il suo amato sulla Terra. Nel Regno degli Inferi, la dea dovette oltrepassare sette porte ed ad ognuna di queste dovette lasciare qualcosa di prezioso, fino ad arrivare completamente nuda e quindi indifesa al cospetto della Regina. Cominciò così dalla corona, simbolo del suo potere, poi gli orecchini, la collana di perle, il pettorale d’oro e di pietre preziose, la cintura richiamo del ciclo della vita, e infine anello e abiti, assieme ogni volta ad un velo del suo abito. Man mano che le veniva tolto tutto ciò, la dea perdeva la sua forza fino ad arrivare completamente indebolita dalla sorella che la fece così prigioniera  scatenando contro di lei sette piaghe.

Inno a Ishtar
Tavoletta con un inno a Ishtar

La lontananza di Ishtar dal mondo dei vivi stava però mettendo in serio pericolo l’intera esistenza del mondo, gli alberi non davano più i propri frutti e animali e uomini non si riproducevano più e soprattutto non ne sentivano nemmeno la necessità: Ea, signore di tutti gli dei, decise quindi di intervenire e di indire un consiglio degli dei stessi per ristabilire le sorti e le precedenti condizioni. Fu deciso quindi di mandare un messaggero che la cosparse con l’acqua facendola ritornare in forze e durante il viaggio di ritorno, recuperati tutti i suoi ornamenti e quindi la forza, la dea riuscì a riportare l’amato sulla Terra. Il ritorno della dea e di Tammuz riportò  così alla vita l’intera umanità.
In una versione diversa, Ishtar stessa decide, (non sappiamo per quale motivo), di scendere negli Inferi e di provocare la sorella: una volta arrivata alla porta la dea richiamò i guardiani minacciando di distruggere il cancello e di far uscire i morti. Ereshkigal, che non aspettava altro, la fece entrare e dopo aver lasciato, come nell’altra versione, tutti i suoi ornamenti, rendendo sterile per la sua assenza la terra, Ea decise di plasmare un giovane di bell’aspetto per sedurre la dea degli Inferi e rimandare Ishtar a casa. Così non accadde e seppur prima affascinata Ereshkigal poi decise di maledire l’uomo, divenuto amante della sorella, ma di liberare ugualmente la donna, ordinando a Namtar di innaffiarla proprio come una piante riportandola  così in vita, il tutto in cambio del corpo dell’amato: tale condanna vuole che solo una volta l’anno, per un solo giorno, nel Solstizio d’Estate in cui avverranno i rituali consacrati a lui, Tammuz potrà fare ritorno nel Regno dei Vivi.
La morte di Tammuz portò la dea in uno stato di lutto e con lei tutte le altre donne , per un mese intero durante il quale avveniva un digiuno rituale che poi verrà ripreso nelle cerimonie della religione islamica: lo stesso si può dire per la “Danza dai sette veli” che richiama, in modo palese, il viaggio di Ishtar negli Inferi dove è costretta a lasciare i suoi ornamenti e appunto i suoi sette veli. Qui la simbologia è chiara: l’abbandono del velo indica l’allontanamento dagli aspetti umani negativi in esaltazione a quelli positivi, e il numero sette rispecchia i sette Chakra, i centri energetici del corpo e i loro colori diversi che richiamavano i sette pianeti (allora conosciuti) influenzando certi aspetti, pregi e difetti, di una persona.

Ishtar
Vaso raffigurante Ishtar

L’iconografia di Ishtar la associa alla stella a otto punte (simbolo fra l’altro anche della Vergine Maria ) e che richiama di nuovo il pianeta Venere che ripercorre le stesse fasi in un arco di tempo di otto anni terrestri. La più antica raffigurazione risale al 3000 a.C. a Uruk, dove la dea indossa una lunga veste e sulla testa una tiara a corni, mentre va incontro a Dumuzi, un pastore, dio della vegetazione e suo futuro sposo, apparentemente di fronte al tempio ma è assai probabile per una convenzione iconografica che la si intenda invece all’interno.
Nella sua rappresentazione classica, Ishtar viene riprodotta completamente nuda, perché la Verità non ha bisogno di coprirsi, sulla testa porta un emblema lunare (la sua parte negativa ma anche sessuale). Nella mano destra infine una coppa a simboleggiare l’abbondanza perché contiene il nettare della vita, mentre nella sinistra un loto, il fiore che nasce nell’acqua chiaro riferimento alla purezza.

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