giovedì 24 ottobre 2019

Architettura e Musica come espressione del Sacro


Seconda Parte

di Mario Pagni

Dunque la musica e l’architettura sarebbero sorelle, poiché l’occhio percepisce come armonici gli stessi rapporti fra enti architettonici, percepiti tali anche dall’orecchio come rapporti fra suoni. Questo stesso concetto è stato ripetuto da Leonardo da Vinci a proposito della pittura e (aggiungo io), esiste anche nello stesso grande disegno della natura se pur con un infinito numero di variabili.
Probabilmente le cose non stanno completamente in questo modo, (basti pensare al fatto che piccole variazioni di rapporti architettonici non disturbano molto la visione, mentre una piccola variazione di frequenza di una nota musicale può essere molto sgradevole all’ascolto); tuttavia questa concezione ha influenzato per secoli l’architettura, da Vitruvio fino al XVIII secolo.

Vitruvio Pollonio


La questione della scelta delle note è antica quanto la musica stessa. Il problema principale è il seguente: perché fra gli infiniti suoni possibili ne sono stati scelti soltanto alcuni? Come immediata conseguenza di questa domanda è naturale porsi il seguente quesito: quali criteri hanno guidato questa scelta? Pitagora fu il primo che si accorse della relazione fra altezza dei suoni e lunghezze delle corde che vibrando emettono suoni; questo rapporto, si traduceva anche però in una proporzionalità inversa fra altezza del suono e lunghezza stessa della corda. Inoltre si accorse che, emettendo due suoni contemporaneamente, in alcuni casi si percepisce un senso di gradevolezza o “consonanza”. In altri invece il senso è di solo fastidio o “dissonanza”. Il resto della questione si basa unicamente fra rapporti armonici legati e condizionati da intervalli più o meno prolungati e frequenze, fino alla costruzione (usando esclusivamente l’intervallo di quinta), della “Scala musicale” o scala definita anche “Pitagorica”. La scala pitagorica, fu usata nel mondo occidentale fino al Rinascimento; infatti, fino a quando la musica era sostanzialmente “monodica” (come nel canto Gregoriano), con eventuali melodie parallele aventi le note corrispondenti ad intervalli di ottava , o di quinta, o di quarta (contrappunto), la scala pitagorica era più che sufficiente.

Monaci mentre cantano il gregoriano
Canto Gregoriano

La Chiesa Cattolica inoltre, considerava addirittura la scala pitagorica la più adatta alla musica “ecclesiastica” o “Sacra” nel senso più generale del termine, perché si basava sui numeri 1, 2, 3. ovvero quelli riferiti alla stessa Trinità. Per quanto riguarda le popolazioni più antiche come ad esempio i Romani che a buon titolo raccolsero l’eredità culturale e cultuale di molte civiltà di ceppo mediterraneo, è abbastanza semplice consultando lo stesso Vitruvio nel “De Architettura”, di come il rapporto fra musica e architettura non fosse dubbio o discutibile ma certo e dimostrato.

De Architectura opera di Vitruvio
De Architectura l'opera vitruviana

Un esempio per tutti senza scomodare questioni più complesse, sono i teatri e gli anfiteatri. In questo caso l’esempio da cui i Romani presero spunto imparando rapidamente le nozioni e i metodi trasmessi, furono gli edifici teatrali degli antichi Greci. Vitruvio racconta di come fosse stato relativamente facile copiare l’acustica di questi ultimi, basandosi sulla semplice propagazione delle “onde sonore” che i nostri ricordi di fisica ci descrivono come simili a qualcuno che gettando un semplice sasso nell’acqua, provoca delle piccole onde, che partendo dal centro dell’impatto con il liquido, tendono a diramarsi allargandosi verso l’esterno con effetto di ampiezza sempre maggiore. Così nacquero le gradinate degli antichi  teatri, la cui altezza era invece verosimilmente stabilita proprio dalla stessa scala musicale di cui accennavamo prima, ottenendo così l’incredibile effetto acustico del quale anche il moderno turista visitatore di aree archeologiche, ancora oggi si stupisce.

L'interno dell'opera di Vitruvio con il calcolo del sonoro su gradinate del teatro romano

Con il tempo le antiche consonanze della scala pitagorica, cominciarono ad essere avvertite come troppo statiche,ovvero prive di quelle variazioni e di quelle trame che rendevano la musica più complessa e anche più piacevole da ascoltare. A partire quindi dal XIII secolo, vennero introdotti nel contrappunto, gli intervalli di “terza” e di “sesta” (ovvero i complementari rispetto all’ottava degli intervalli di terza). La Chiesa osteggiò a lungo tali scelte, minacciando di scomunica chi avesse usato gli intervalli di terza, ritenuti troppo mondani e lascivi. Fu soltanto nella seconda metà del ‘500 che G. Zarlino, introdusse la  scala cosiddetta “giusta” o naturale o appunto “Zarliniana” che teneva conto a tutti gli effetti, degli intervalli di “terza”.

Scala Zarliniana

La scala “Zarliniana” non era una novità; i teorici greci della musica (fra cui Aristosseno, Didimo, Tolomeo), avevano già elaborato se pur a semplice livello intuitivo e teorico diverse scale musicali, che però non avevano la possibilità di riscontro con la musica che veniva suonata o cantata all’epoca come invece accadrebbe oggi. La scala “Zarliniana” invece, esprimeva i rapporti musicali che si intonavano in modo naturale nello stesso canto o nel suonare uno strumento musicale come il violino, che non sia cioè a tasti fissi. Alla prossima puntata.

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