Seconda Parte
di Mario Pagni
Dunque la musica e l’architettura sarebbero sorelle, poiché
l’occhio percepisce come armonici gli stessi rapporti fra enti architettonici,
percepiti tali anche dall’orecchio come rapporti fra suoni. Questo stesso concetto
è stato ripetuto da Leonardo da Vinci a proposito della pittura e (aggiungo
io), esiste anche nello stesso grande disegno della natura se pur con un
infinito numero di variabili.
Probabilmente le cose non stanno completamente in questo
modo, (basti pensare al fatto che piccole variazioni di rapporti architettonici
non disturbano molto la visione, mentre una piccola variazione di frequenza di
una nota musicale può essere molto sgradevole all’ascolto); tuttavia questa
concezione ha influenzato per secoli l’architettura, da Vitruvio fino al XVIII
secolo.
Vitruvio Pollonio |
La questione della scelta delle note è antica quanto la
musica stessa. Il problema principale è il seguente: perché fra gli infiniti
suoni possibili ne sono stati scelti soltanto alcuni? Come immediata
conseguenza di questa domanda è naturale porsi il seguente quesito: quali
criteri hanno guidato questa scelta? Pitagora fu il primo che si accorse della
relazione fra altezza dei suoni e lunghezze delle corde che vibrando emettono
suoni; questo rapporto, si traduceva anche però in una proporzionalità inversa
fra altezza del suono e lunghezza stessa della corda. Inoltre si accorse che,
emettendo due suoni contemporaneamente, in alcuni casi si percepisce un senso
di gradevolezza o “consonanza”. In altri invece il senso è di solo fastidio o
“dissonanza”. Il resto della questione si basa unicamente fra rapporti armonici
legati e condizionati da intervalli più o meno prolungati e frequenze, fino
alla costruzione (usando esclusivamente l’intervallo di quinta), della “Scala
musicale” o scala definita anche “Pitagorica”. La scala pitagorica, fu usata
nel mondo occidentale fino al Rinascimento; infatti, fino a quando la musica
era sostanzialmente “monodica” (come nel canto Gregoriano), con eventuali
melodie parallele aventi le note corrispondenti ad intervalli di ottava , o di
quinta, o di quarta (contrappunto), la scala pitagorica era più che
sufficiente.
Canto Gregoriano |
De Architectura l'opera vitruviana |
Un esempio per tutti senza scomodare questioni più complesse,
sono i teatri e gli anfiteatri. In questo caso l’esempio da cui i Romani
presero spunto imparando rapidamente le nozioni e i metodi trasmessi, furono
gli edifici teatrali degli antichi Greci. Vitruvio racconta di come fosse stato
relativamente facile copiare l’acustica di questi ultimi, basandosi sulla
semplice propagazione delle “onde sonore” che i nostri ricordi di fisica ci
descrivono come simili a qualcuno che gettando un semplice sasso nell’acqua,
provoca delle piccole onde, che partendo dal centro dell’impatto con il
liquido, tendono a diramarsi allargandosi verso l’esterno con effetto di
ampiezza sempre maggiore. Così nacquero le gradinate degli antichi teatri, la cui altezza era invece
verosimilmente stabilita proprio dalla stessa scala musicale di cui accennavamo
prima, ottenendo così l’incredibile effetto acustico del quale anche il moderno
turista visitatore di aree archeologiche, ancora oggi si stupisce.
L'interno dell'opera di Vitruvio con il calcolo del sonoro su gradinate del teatro romano |
Con il tempo le antiche consonanze della scala pitagorica,
cominciarono ad essere avvertite come troppo statiche,ovvero prive di quelle
variazioni e di quelle trame che rendevano la musica più complessa e anche più
piacevole da ascoltare. A partire quindi dal XIII secolo, vennero introdotti nel
contrappunto, gli intervalli di “terza” e di “sesta” (ovvero i complementari
rispetto all’ottava degli intervalli di terza). La Chiesa osteggiò a lungo
tali scelte, minacciando di scomunica chi avesse usato gli intervalli di terza,
ritenuti troppo mondani e lascivi. Fu soltanto nella seconda metà del ‘500 che
G. Zarlino, introdusse la scala
cosiddetta “giusta” o naturale o appunto “Zarliniana” che teneva conto a tutti
gli effetti, degli intervalli di “terza”.
Scala Zarliniana |
La scala “Zarliniana” non era una novità; i teorici greci
della musica (fra cui Aristosseno, Didimo, Tolomeo), avevano già elaborato se
pur a semplice livello intuitivo e teorico diverse scale musicali, che però non
avevano la possibilità di riscontro con la musica che veniva suonata o cantata
all’epoca come invece accadrebbe oggi. La scala “Zarliniana” invece, esprimeva
i rapporti musicali che si intonavano in modo naturale nello stesso canto o nel
suonare uno strumento musicale come il violino, che non sia cioè a tasti fissi.
Alla prossima puntata.
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