di Chiara Sacchetti
È uno dei
filosofi fondamentali della storia, a lui si devono importanti considerazioni
sulla Natura e su Dio, ma questa sua libertà di pensiero, difficile per un
religioso come lui era, gli costò il subire numerosi processi per eresia e
condanne. Campanella è stato sicuramente vittima, come del resto Giordano
Bruno, anche di un irrigidimento ecclesiastico, conseguenza della Riforma
Protestante e al Concilio Tridentino. A noi in ogni caso fortunatamente restano
la maggior parte dei suoi scritti, influenzati da un periodo di rinnovamento
che apriva poi nel secolo successivo anche alla prima rivoluzione industriale
del Seicento e a una concezione della Natura più scientifica e reale.
Francesco Cozza, Ritratto di Tommaso Campanella
La vita di Tommaso Campanella, come lui stesso ci racconta in una deposizione del 23 novembre 1599 al giudice, iniziò a Stilo, oggi in provincia di Reggio Calabria, con il nome di Giovan Domenico il 5 settembre 1568. Il suo spirito inquieto e soprattutto il profondo desiderio di migliorare la sua condizione, lo spinsero a rifiutare all’età di 14 anni l’offerta paterna di andare a Napoli da uno zio a studiare diritto, e preferire di entrare nell’ordine dei domenicani senza una reale vocazione ma solo per il concreto pensiero che era l’unico modo per studiare. Dopo soltanto un anno nel convento di Placanica non molto lontano da casa pronunciò i voti e prese il nome di Tommaso, in onore di Tommaso d’Aquino.
Stilo, casa natale di Campanella
Ma il suo
carattere insofferente mai pago, e soprattutto dubitante dei dogmi di
Aristotele, degli autori greci e latini, temi centrali dei suoi studi di
teologia a Cosenza, (come Campanella stesso ci racconta), portarono il
domenicano ad una rivelazione dopo la lettura del De rerum Natura iuxta propria
principia di Telesio. Lo studio di questo filosofo illuminò la sua mente
rivelandogli che esistevano altre filosofie oltre a quella scolastica e
soprattutto che la Natura può essere osservata così come appare e che l’uomo ha
tutti gli strumenti necessari per indagarla. Fu per lui una vera e propria intuizione
ma anche un momento cruciale della sua esistenza. Il destino volle che Telesio
si trovasse proprio a Cosenza e che morisse in quei giorni all’età di 86 anni.
Campanella non si fece scappare l’occasione di rendere omaggio al suo corpo e andò
sulla sua bara a deporre dei versi latini di ringraziamento. Il gesto non passò
inosservato e gli costò l’immediato trasferimento ad Altomonte un piccolo
paesino di provincia che però non lo fermò nei suoi intenti. Fu in quel periodo
che scrisse Philosophia sensibus
demonstrata, la sua prima opera e una risposta al libro di Jacopo Antonio
Marta contro Telesio in cui si spinge oltre alle teorie del filosofo,
affermando che «chi regola la natura è quel glorioso Iddio,
sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze
della natura, nella quale tuttavia agisce con misura», rifacendosi così al
neoplatonismo rinascimentale di Ficino.
Chiostro del Convento di Placanica
La
pubblicazione dell’opera comportò però a Campanella l’arresto con l’accusa di
pratiche demoniache: purtroppo non abbiamo il testo del processo, ma sappiamo
attraverso la sentenza che tali accuse andarono a cadere e che fu confermata la
sua devozione a Telesio, di essere per questo stato mesi fuori dalla religione
e di dover scontare la pena di recitare dei salmi, entro otto giorni, nel suo
convento di Altomonte.
Quello che
era accaduto non rallentò certamente il frate che con la lettera di
raccomandazione dell’amico fra Giovanni Battista da Polistena padre provinciale
in Calabria, lasciò Napoli per andare a Firenze da Ferdinando I de’ Medici. E
proprio al Granduca di Toscana Campanella dedicò la sua seconda opera, il De sensu rerum et magia, nel 1592, un
manoscritto che gli fu sequestrato dal Sant’Uffizio a Bologna e che vide la
luce soltanto nel 1620 con la pubblicazione a Francoforte. Il Granduca però
dopo aver preso informazioni sul frate dal cardinale Del Monte che gli rispose
negativamente, fece capire a Campanella che non era gradito e l’uomo si rifugiò
prima a Bologna, dove appunto gli furono rubati gli scritti della sua ultima
opera per carpire tutti i suoi pensieri, e poi a Padova, ospite nel convento di
Sant’Agostino.
Ma qui fra
la fine del 1593 e l’inizio del 1594 venne di nuovo arrestato: fra le accuse
quella di aver scritto l’opuscolo De
triboribus impostoribus contro le religioni monoteiste; di sostenere le
tesi di Democrito (calunnie chiaramente venute dopo la lettura della sua ultima
opera); di possedere un libro di geomazia sequestrato al momento dell’arresto;
di essere eretico, di oppositare la dottrina cristiana e di aver scritto un
sonetto contro Cristo. Fu torturato assieme ad altri due imputati e il suo
manuale fu esaminato approfonditamente, tanto che il processo a Campanella
venne spostato a Roma. Per difendersi dalle accuse il frate scrisse prima il De monarchia Christianorum, oggi perduto,
e il De regimine ecclesiae, ai quali
fece seguito, nel 1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i
protestanti, il Dialogum contra haereticos
nostri temporis et cuisque saeculi. La tortura dell’aprile 1295 mise fine
di fatto al processo, Campanella abiurò nella chiesa di Santa Maria sopra
Minerva e venne confinato nel convento domenicano di Santa Sabina
sull’Aventino.
Ma se si
pensa che i suoi guai ebbero fine ci si sbaglia. Solo dopo poco più di un anno
venne accusato da un certo Scipione Prestinace, condannato a morte per reati
comuni; questi, prima di essere giustiziato, probabilmente per ritardare la
pena, chiamò in causa un gruppetto di persone fra cui anche Tommaso
incolpandolo di essere eretico. Il frate subì di nuovo un processo da cui
fortunatamente ne uscì assolto alla fine del 1297. Ma una nuova accusa stava
per arrivare.
Pagina del manoscritto "La città del Sole"
Ritornato
nel paese natale, Campanella scrisse il piccolo trattato De predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, in
cui si affermava la dottrina cattolica del libero arbitrio. Ma furono le sue
idee sull’attesa del nuovo secolo, annunciato da fenomeni terribili come le
inondazioni del Tevere e del Po, allagamenti e terremoti in Calabria, il
passaggio della cometa e altre coincidenze astrologiche che lo portarono a
convincersi della necessità di istituire una nuova repubblica ideale. L’unico
modo possibile per realizzarla, nell’idea del frate, era quello di cacciare gli
Spagnoli, anche con l’aiuto dei Turchi. Campanella cominciò così a intessere
relazioni e a fare prediche per richiamare seguaci che, poco più di una decina,
stavano progettando l’insurrezione. La notizia arrivò alle truppe spagnole che
intervennero: Tommaso si nascose prima in vari conventi e poi a casa di un
amico, ma venne tradito e consegnato alle truppe. Dagli altri congiurati venne
indicato come la mente e il capo della congiura e dopo il riconoscimento
ufficiale, il Sant’Uffizio tentò di portare il processo a Roma, richiesta
accolta con un rifiuto. Papa Clemente VIII, si dice di idee antispagnole, aggirò
il problema e nominò quindi due ecclesiastici giudici del processo a Napoli,
portando di fatto il processo sotto il Sant’Uffizio, cosa che permise al frate
di ritardare la condanna a morte. Di nuovo torturato pesantemente, Campanella
riconobbe le accuse e si dichiarò colpevole, rischiando la condanna al rogo
come relapso, ma con la strategia di dimostrarsi pazzo, cosa che gli avrebbe
evitato la morte. Il 18 luglio venne sottoposto alla tortura della corda per
dimostrare la sua simulazione di pazzia, ma durante l’interrogatorio Campanella
rispose cantando o con frasi senza senso: alla fine, il 5 giugno venne
accettato come pazzo, dopo una tortura di corda durata 40 ore e chiamata “la
veglia”. Passò 27 anni nel carcere di Napoli dove scrisse le sue opere più
importanti e nel 1626, grazie all’amico Maffeo Barberini (futuro Papa) venne
liberato e portato a Roma nuovamente presso il Sant’Uffizio e definitivamente
liberato nel 1629, quando divenne consigliere papale per questioni astrologiche
di Urbano VIII, al quale aveva impedito la morte preannunciata per le due
eclissi del 1628 e del 1630.
Grazie al
cardinale Barberini Tommaso riuscì a scampare ad una nuova cospirazione e a
rifugiarsi a Parigi alla corte di Luigi XIII dove passò il resto della vita nel
convento di Saint-Honoré. Morì il 21 maggio 1639.
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