lunedì 1 novembre 2021

Tommaso Campanella il religioso eretico

di Chiara Sacchetti

È uno dei filosofi fondamentali della storia, a lui si devono importanti considerazioni sulla Natura e su Dio, ma questa sua libertà di pensiero, difficile per un religioso come lui era, gli costò il subire numerosi processi per eresia e condanne. Campanella è stato sicuramente vittima, come del resto Giordano Bruno, anche di un irrigidimento ecclesiastico, conseguenza della Riforma Protestante e al Concilio Tridentino. A noi in ogni caso fortunatamente restano la maggior parte dei suoi scritti, influenzati da un periodo di rinnovamento che apriva poi nel secolo successivo anche alla prima rivoluzione industriale del Seicento e a una concezione della Natura più scientifica e reale.

Francesco Cozza, Ritratto di Tommaso Campanella

La vita di Tommaso Campanella, come lui stesso ci racconta in una deposizione del 23 novembre 1599 al giudice, iniziò a Stilo, oggi in provincia di Reggio Calabria, con il nome di Giovan Domenico il 5 settembre 1568. Il suo spirito inquieto e soprattutto il profondo desiderio di migliorare la sua condizione, lo spinsero a rifiutare all’età di 14 anni l’offerta paterna di andare a Napoli da uno zio a studiare diritto, e preferire di entrare nell’ordine dei domenicani senza una reale vocazione ma solo per il concreto pensiero che era l’unico modo per studiare. Dopo soltanto un anno nel convento di Placanica non molto lontano da casa pronunciò i voti e prese il nome di Tommaso, in onore di Tommaso d’Aquino.

Stilo, casa natale di Campanella

Ma il suo carattere insofferente mai pago, e soprattutto dubitante dei dogmi di Aristotele, degli autori greci e latini, temi centrali dei suoi studi di teologia a Cosenza, (come Campanella stesso ci racconta), portarono il domenicano ad una rivelazione dopo la lettura del De rerum Natura iuxta propria principia di Telesio. Lo studio di questo filosofo illuminò la sua mente rivelandogli che esistevano altre filosofie oltre a quella scolastica e soprattutto che la Natura può essere osservata così come appare e che l’uomo ha tutti gli strumenti necessari per indagarla. Fu per lui una vera e propria intuizione ma anche un momento cruciale della sua esistenza. Il destino volle che Telesio si trovasse proprio a Cosenza e che morisse in quei giorni all’età di 86 anni. Campanella non si fece scappare l’occasione di rendere omaggio al suo corpo e andò sulla sua bara a deporre dei versi latini di ringraziamento. Il gesto non passò inosservato e gli costò l’immediato trasferimento ad Altomonte un piccolo paesino di provincia che però non lo fermò nei suoi intenti. Fu in quel periodo che scrisse Philosophia sensibus demonstrata, la sua prima opera e una risposta al libro di Jacopo Antonio Marta contro Telesio in cui si spinge oltre alle teorie del filosofo, affermando che «chi regola la natura è quel glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura», rifacendosi così al neoplatonismo rinascimentale di Ficino.

Chiostro del Convento di Placanica

La pubblicazione dell’opera comportò però a Campanella l’arresto con l’accusa di pratiche demoniache: purtroppo non abbiamo il testo del processo, ma sappiamo attraverso la sentenza che tali accuse andarono a cadere e che fu confermata la sua devozione a Telesio, di essere per questo stato mesi fuori dalla religione e di dover scontare la pena di recitare dei salmi, entro otto giorni, nel suo convento di Altomonte.

Quello che era accaduto non rallentò certamente il frate che con la lettera di raccomandazione dell’amico fra Giovanni Battista da Polistena padre provinciale in Calabria, lasciò Napoli per andare a Firenze da Ferdinando I de’ Medici. E proprio al Granduca di Toscana Campanella dedicò la sua seconda opera, il De sensu rerum et magia, nel 1592, un manoscritto che gli fu sequestrato dal Sant’Uffizio a Bologna e che vide la luce soltanto nel 1620 con la pubblicazione a Francoforte. Il Granduca però dopo aver preso informazioni sul frate dal cardinale Del Monte che gli rispose negativamente, fece capire a Campanella che non era gradito e l’uomo si rifugiò prima a Bologna, dove appunto gli furono rubati gli scritti della sua ultima opera per carpire tutti i suoi pensieri, e poi a Padova, ospite nel convento di Sant’Agostino.

Cella di Tommaso Campanella

Ma qui fra la fine del 1593 e l’inizio del 1594 venne di nuovo arrestato: fra le accuse quella di aver scritto l’opuscolo De triboribus impostoribus contro le religioni monoteiste; di sostenere le tesi di Democrito (calunnie chiaramente venute dopo la lettura della sua ultima opera); di possedere un libro di geomazia sequestrato al momento dell’arresto; di essere eretico, di oppositare la dottrina cristiana e di aver scritto un sonetto contro Cristo. Fu torturato assieme ad altri due imputati e il suo manuale fu esaminato approfonditamente, tanto che il processo a Campanella venne spostato a Roma. Per difendersi dalle accuse il frate scrisse prima il De monarchia Christianorum, oggi perduto, e il De regimine ecclesiae, ai quali fece seguito, nel 1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i protestanti, il Dialogum contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi. La tortura dell’aprile 1295 mise fine di fatto al processo, Campanella abiurò nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva e venne confinato nel convento domenicano di Santa Sabina sull’Aventino.

Ma se si pensa che i suoi guai ebbero fine ci si sbaglia. Solo dopo poco più di un anno venne accusato da un certo Scipione Prestinace, condannato a morte per reati comuni; questi, prima di essere giustiziato, probabilmente per ritardare la pena, chiamò in causa un gruppetto di persone fra cui anche Tommaso incolpandolo di essere eretico. Il frate subì di nuovo un processo da cui fortunatamente ne uscì assolto alla fine del 1297. Ma una nuova accusa stava per arrivare.

Pagina del manoscritto "La città del Sole"

Ritornato nel paese natale, Campanella scrisse il piccolo trattato De predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, in cui si affermava la dottrina cattolica del libero arbitrio. Ma furono le sue idee sull’attesa del nuovo secolo, annunciato da fenomeni terribili come le inondazioni del Tevere e del Po, allagamenti e terremoti in Calabria, il passaggio della cometa e altre coincidenze astrologiche che lo portarono a convincersi della necessità di istituire una nuova repubblica ideale. L’unico modo possibile per realizzarla, nell’idea del frate, era quello di cacciare gli Spagnoli, anche con l’aiuto dei Turchi. Campanella cominciò così a intessere relazioni e a fare prediche per richiamare seguaci che, poco più di una decina, stavano progettando l’insurrezione. La notizia arrivò alle truppe spagnole che intervennero: Tommaso si nascose prima in vari conventi e poi a casa di un amico, ma venne tradito e consegnato alle truppe. Dagli altri congiurati venne indicato come la mente e il capo della congiura e dopo il riconoscimento ufficiale, il Sant’Uffizio tentò di portare il processo a Roma, richiesta accolta con un rifiuto. Papa Clemente VIII, si dice di idee antispagnole, aggirò il problema e nominò quindi due ecclesiastici giudici del processo a Napoli, portando di fatto il processo sotto il Sant’Uffizio, cosa che permise al frate di ritardare la condanna a morte. Di nuovo torturato pesantemente, Campanella riconobbe le accuse e si dichiarò colpevole, rischiando la condanna al rogo come relapso, ma con la strategia di dimostrarsi pazzo, cosa che gli avrebbe evitato la morte. Il 18 luglio venne sottoposto alla tortura della corda per dimostrare la sua simulazione di pazzia, ma durante l’interrogatorio Campanella rispose cantando o con frasi senza senso: alla fine, il 5 giugno venne accettato come pazzo, dopo una tortura di corda durata 40 ore e chiamata “la veglia”. Passò 27 anni nel carcere di Napoli dove scrisse le sue opere più importanti e nel 1626, grazie all’amico Maffeo Barberini (futuro Papa) venne liberato e portato a Roma nuovamente presso il Sant’Uffizio e definitivamente liberato nel 1629, quando divenne consigliere papale per questioni astrologiche di Urbano VIII, al quale aveva impedito la morte preannunciata per le due eclissi del 1628 e del 1630.

Grazie al cardinale Barberini Tommaso riuscì a scampare ad una nuova cospirazione e a rifugiarsi a Parigi alla corte di Luigi XIII dove passò il resto della vita nel convento di Saint-Honoré. Morì il 21 maggio 1639.

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