di Chiara Sacchetti
Sacerdotesse
della dea Vesta le Vestali erano donne molto potenti e importanti nella
società romana; venivano scelte già da giovanissime in un gruppo di 20 bambine
dai 6 ai 10 anni, fra le famiglie patrizie più in vista, libere quindi di
nascita, con i genitori ancora in vita, residenti in Italia e senza
imperfezioni fisiche. La regola principale era che nessuno poteva toccarle e le
fanciulle restavano in carica per 30 anni, durante i quali dovevano restare
vergini e seguire alcune regole, pena la morte. Nei primi dieci anni erano
considerate novizie, nei secondi dieci invece vere e proprie sacerdotesse
addette al culto, mentre gli ultimi dieci anni erano chiamate a istruire le
nuove adepte. Finito il periodo erano libere di sposarsi. La scelta delle nuove
sacerdotesse avveniva tramite sorteggio, mentre la consacrazione era ad opera
del Pontefice Massimo attraverso la captio
(o cattura), un rito che richiamava al matrimonio per rapimento. Al termine
della cerimonia il sacerdote pronunciava la frase “Ego te amata capio” (io prendo te amata), e a lui le ragazze erano
sottoposte come ad un consorte al quale dovevano rispondere per eventuali
mancanze. La vestale più anziana aveva il titolo di Virgo Vestalis Maxima.
Palazzo Braschi, statua di una Vestale
Fra le donne dell’antica Roma le Vestali erano indubbiamente quelle che godevano di una maggiore libertà, non erano soggette alla podestà paterna, potevano amministrare i loro beni in autonomia lasciandone testamento, nelle cerimonie pubbliche avevano posti riservati vicino a quelli dei senatori, potevano andare sui carri anche durante il giorno e avevano la possibilità di annullare la pena di morte ad un condannato che vedevano passare di fronte a loro.
Di contro
avevano uno dei compiti più importanti e vitali, ossia quello di custodire e
alimentare il fuoco sacro che rappresentava la vita della città stessa e per
questo non doveva mai spengersi. Il primo giorno dell’anno, ossia il 1 marzo,
le Vestali rinnovavano il fuoco attraverso lo sfregamento degli arbores felices, così chiamati perché
nascevano da semi, producevano frutti e davano vita ad alberi imponenti come le
querce e i faggi. Inoltre dovevano preparare tutti gli ingredienti per i
sacrifici pubblici e privati che dovevano essere fatti durante le cerimonie.
Il culto e
la consacrazione all’ordine sono documentati già dalla mitologica fondazione di
Roma dalla figura di Rea Silvia, figlia del re di Albalonga e madre dei gemelli
Romolo e Remo, che viene ordinata Vestale per volere dello zio nella vana
speranza che non avesse prole che in futuro avrebbe potuto spodestarlo. La
figura della Vestale proviene quindi quasi certamente dalla città di Albalonga
e secondo quando ci racconta Tito Livio è uno dei primi ordini sacerdotali
creati da Numa Pompilio, assieme ai Flamini e poco dopo quello del Pontefice
Massimo e dei Salii.Moneta con raffigurata una Vestale
Roma, Foro, Luogo dove c'era il Fuoco Sacro protetto dalle Vestali
Se però le
Vestali mancavano ad una delle regole, come lo spegnimento del fuoco o
relazioni sessuali (definite addirittura incesti), erano addirittura condannate
a morte, ma dato che non potevano essere toccate da nessuno, quest’ultima
avveniva in modo terribile. La colpevole dopo essere stata frustata e vestita
di abiti funebri, veniva posta su una lettiga chiusa, oppure su feretri destinati
al trasporto dei defunti, seguita da un corteo di parenti che la piangevano
morta e condotta al Campus Sceleratus.
Qui il Pontefice Massimo pronunciava parole sconosciute e la donna veniva
seppellita in una buca con poche cose da mangiare, come pane latte acqua e olio
e una candela e poi chiusa, lì sarebbe morta di stenti o per asfissia. Il
complice dell’incestus invece era
condannato alla fustigazione a morte come uno schiavo. Non poche furono le
Vestali accusate di non aver seguito le regole del proprio ordine: grazie a
Dionigi di Alicarnasso conosciamo Orbilia che nel 472 a.C. fu condannata a
morte per aver mancato il proprio voto di castità pena che in realtà nascondeva
la ricerca di un capro espiatorio per la pestilenza presente nella città. Una storia
a lieto fine è invece quella che ci riferisce Ovidio raccontando della Vestale
Claudia, anch’essa accusata di infedeltà ai voti, che fortunatamente dimostrò
la sua innocenza riuscendo a liberare la nave che portava la statua di Cibele
dalla Frigia e dove era nascosta la lapis niger (la pietra nera), propiziatrice
della città di Roma nella guerra contro Annibale. La sacerdotessa chiese aiuto
proprio alla dea e con la sola cintura portò l’imbarcazione fuori dalla secca
dove era rimasta incagliata.
Vecchia foto con Porta Cortollina, il Campus Sceleratus dove avvenivano le uccisioni delle Vestali
L’ultima
gran sacerdotessa delle Vestali fu Celia Concordia. Con l’Editto di Tessalonica
del 380 con cui il credo Niceno diveniva la religione dell’Impero e gli editti
seguenti dell’imperatore Teodosio in cui si proibiva qualsiasi altro culto
pagano, il fuoco sacro venne spento per sempre, fu sancita così la fine delle
Vestali.
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