lunedì 2 settembre 2019

Cibele: la Grande Madre preellenica


di Chiara Sacchetti

È la divinità adorata dalle popolazioni preelleniche dell’Asia Minore, da dove giunse prima in Grecia e poi da lì anche nell’Impero Romano, e da lei sarebbero state generate e trasformate secondo le proprie necessità, ma anche come fonte di ispirazione, dee importanti legate ad altre civiltà come Rea, la madre degli dei per la mitologia greca, Ishtar per gli Assiri e Iside per gli Egizi.

Statua di Cibele in trono con due leoni accanto, da Nicea in Bitinia, Museo Archeologico di Istambul


Venerata come Grande Madre, era la stessa dei popoli primitivi,  il suo nome significa “grotta”, chiaro riferimento all’antro materno dell’utero femminile, come testimoniato anche dalla sua rappresentazione: una figura in trono (o su un carro) con i leoni ai suoi piedi, questi animali con la criniera e le fauci aperte sono certamente un rimando al pube femminile e alla fertilità e fecondità della donna.  Non è sicuramente un caso che molte altre divinità di cui tratteremo e che sono state appena accennate poco sopra, hanno le stesse caratteristiche iconografiche di questa.
In essa si racchiudono tutte le caratteristiche principali, positive e negative, di un’entità materna dalla quale tutto ha avuto origine: prima fra tutti gli Dei, Cibele non è nata ma è eterna e vergine, ovvero una donna che non si è sottomessa all’uomo,  senza coniuge e nonostante ciò ha dato origine all’intero universo. Era venerata nelle sembianze di una lapis nigra (pietra nera) materiale con cui si manifestava e sotto la cui forma, (come racconta la mitologia), sarebbe caduta dal cielo sulla terra ricordandoci con ciò la dea egizia Iside e a parte anche la materia prima proprio dell’Universo.

Gli dei Greci, Saturno e Cibele sopra un carro trainato da leoni

Secondo quanto sappiamo dalle fonti Cibele, il cui centro principale di culto era al santuario di Pessinunte in Frigia nell’Asia Minore, è quindi madre dell’intero universo e contemporaneamente la dea della Natura e dell’agricoltura. Mentre la prima viene identificata con la Madre Terra, con i frutti spontanei che nascono dalla vegetazione e riconosciuta con la dea greca Afrodite i cui doni sono anche le risorse principali del Paese, come l’oro (da cui deriverebbe anche il culto e la leggenda del re Mida) e il ferro; la seconda, protegge tutto quello che ha a che fare con la vita dell’uomo, dal frutto del suo lavoro nei campi, all’edificazione stessa delle città (divinità poliade) e per questo associata alla dea greca Demetra.
Ma di tutti gli aspetti quello che sicuramente prevale è il carattere orgiastico delle feste a lei dedicate, volte a simboleggiare la Natura stessa  e con la Primavera con il perenne rifiorire della vita dopo la morte della stagione invernale: si trattava di incontri di devoti (sacerdoti servitori chiamati galli o coribanti, tutti in ogni caso eunuchi) che si esaltavano al suono di strumenti musicali come timpani, flauti, cembali e nacchere, dando vita a cerimonie pagane con pratiche autolesionistiche come l’autoflagellazione fino al raggiungimento di deliranti stati estatici che terminavano addirittura con l’autoevirazione.

La cosiddetta "Patera di Parabiago" dove si vedono Cibele e Attis, Museo Archeologico di Milano

Il massimo delle pratiche devozionali era però raggiunto durante le feste connesse al culto di Attis, a cui la dea era legata e di cui, secondo alcune versioni, era anche madre: il mito racconta che Zeus fosse pazzamente innamorato della donna ma che questa non volesse cedere alle sue proposte. Una notte, mentre sognava di possederla, il seme di Zeus schizzo sulla pietra (simbolo ed essenza della stessa Cibele) generando Agdistis, un dio piuttosto violento e prepotente con tutti gli dei e a cui  in alcune versioni viene associato alla dea stessa. La sua indole era così aggressiva che Dioniso, per vendicarsi, organizzò contro di lui un pessimo scherzo: dopo avergli dato in dono del vino portò l’ignaro sulla cima di un albero di melograno dove questi ormai ubriaco, si addormentò proprio in bilico ad un ramo a cui lo stesso Dioniso legò i genitali. Di seguito egli scosse con forza l’albero e al programmato risveglio fece sobbalzare il malcapitato che si strappò gli organi intimi facendolo morire dissanguato: il sangue colando sul melograno, fece rifiorire e rinvigorire di prodotti succosi l’albero. La ninfa del fiume Salgario, sfiorando con la sua pelle uno di questi frutti  rimase incinta dando successivamente alla luce il dio Attis.

Controfacciata di Villa Medici a Roma, con 13 victimarii conducono un bue al Tempio della Magna Mater

Cibele si innamorò del dio Attis tenendolo occupato in numerosi amplessi e allietandolo con il  suono della lira, ma l’ingrato nonostante tutto volle lasciarla alla ricerca di un amore terreno: la dea della fiere, che tutto poteva e quindi anche ritrovarlo in ogni dove,  con il suo carro trainato da leoni, lo scorse mentre giaceva con una donna riparato dalle fronde di un pino. Egli, colto in flagrante, tentò di scusarsi e rimediare ma preso dal tormento e dal pentimento, si evirò all’ombra dello stesso albero che lo nascondeva morendo.  Secondo altre versioni  invece la dea lo trasformò in un pino, mentre in altre ancora dal sangue del dio nacquero le viole e ancora  Cibele ottenne l’incorruttibilità del suo corpo, e seppellendo i suoi genitali  egli divenne il dio della vegetazione che ogni anno tornando in vita  viene venerato il 25 marzo, data non casualmente collegata ad altri culti, fra cui quello cristiano con la nascita di Maria.
Interessante parentesi è quella della castrazione, piuttosto comune a molte religioni come quella del mito di Iside Osiride e Horus o la stessa religione greca con Urano ucciso dal figlio Crono su spinta della madre Gea  proprio con l’evirazione e anche qui con  i genitali che cadendo nell’oceano dettero vita alla dea Venere.
Cibele, o Candia come veniva poi chiamata, arrivò a Roma durante le Guerre Puniche, il 4 aprile 204 a.C. quando la pietra nera di Pessinute fu portata a protezione della implacabile discesa  di Annibale su consiglio dei Sacerdoti e posta prima sull’Ara nella Curia del Foro e poi in un tempio sul Palatino fatto costruire nel 191 a.C. vicino alla casa di Romolo l’edificio seguiva orientamenti precisi e particolari legati proprio al culto della dea: assieme alla pietra bianca di Candia la lapis nigra costituiva uno dei sette “pignora imperii” che secondo le credenze romane garantivano il potere all’impero.

Frammento di antefissa dal tempio della Magna Mater

Come abbiamo visto tante e interessanti sono le caratteristiche e le versioni cultuali legate a questa dea e molte altre ce ne sarebbero da dire su di lei e sui suoi legami con altre divinità femminili. Alla prossima!

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