di Chiara Sacchetti
Fra le
divinità dell’antichità greca e romana troviamo rispettivamente Estia e Vesta,
le due dee che proteggevano e curavano il focolare domestico. Il fuoco in tempi
antichi rappresentava la vita e il calore delle certezze di una sicurezza: con
il fuoco si cucinava i cibi, si riscaldava la casa e gli ambienti dove si
viveva, venendo così a rappresentare la vita stessa.
Rarissime
sono le raffigurazioni di queste due dee con sembianze umane, nelle case e nei
Templi soprattutto perché la loro presenza veniva avvertita più che dalla loro
forma antropomorfa, nella fiamma viva del focolare domestico posto di solito al
centro dell’abitazione che veniva così resa sacra e protetta.
Estia, raffigurata con un cerchio, era la primogenita di Crono e Rea Silvia e difendeva la famiglia, i suoi membri e la sicurezza della casa: delle pochissime storie mitologiche che la riguardano è degna di nota quella che racconta di Priapo che durante un banchetto, ubriaco, approfittando del fatto che tutti stavano dormendo, tenta di fare violenza sulla dea, anch’essa addormentata. Un asino, per fortuna, cominciò a ragliare svegliando tutti e mettendo così in fuga il dio. Anche Zeus protesse la castità a cui la dea si era votata, tanto che respinse fortemente le insistenti proposte di suo figlio Apollo e di Poseidone, il dio del mare, in cambio Estia ottenne dal fratello il suo culto in tutte le case e nei templi.
Se
pochissime erano le immagini che ritraevano la dea sottoforma di donna,
moltissimi invece erano i rituali di cui era a capo. Una casa non poteva essere
consacrata se non era presente il suo fuoco, mentre quando una coppia si
sposava, la madre della futura moglie accendeva una torcia dal proprio focolare
per portarla nella abitazione dei futuri sposi. Alla nascita di un figlio, dopo
cinque giorni dall’evento, il bambino veniva fatto girare intorno al cerchio di
fuoco della dea, a simboleggiare la sua ammissione in famiglia e nella società.
Adam Eilsheimer, Le rovine del tempio di Vesta
Vesta era
invece figlia di Saturno e di Opi, quasi a richiamare quell’aspetto legato
all’agricoltura e agli antichi riti matriarcali. Il culto di Vesta, dea romana
del focolare, anche se associato alla corrispondente greca Estia, viene ritenuto
spesso una devozione indigena che richiamava quello della Grande Madre e viene
per questo considerata una Dea Primigenia. Anche di lei, che si dice fosse
sempre coperta da un velo, non si hanno quasi raffigurazioni. I Sabini, che
seguivano il calendario lunare, avevano infatti portato il suo culto a Roma da
Albalonga, mentre alcuni studiosi ritengono invece che il suo nome sia nato
dall’associazione di Venus (Venere) con Estia, la sua corrispondente greca, e
che poi nel tempo, si sia trasformato prima in Vestia e poi in Vesta,
supposizione abbastanza plausibile visto che in tempi più antichi esisteva il
culto di Venus-Afrodite considerata come una Dea Madre.
Moneta con la raffigurazione di Vesta
Nel
calendario romano tra il 7 e il 15 giugno si celebravano i cosiddetti Vestalia,
le feste dedicate alla dea e in cui si possono scorgere alcuni degli aspetti
legati alla rinascita e crescita della vegetazione: in uno dei tanti rituali c’era
anche la preparazione da parte delle sacerdotesse Vestali della “mola salsa”,
una focaccia di farro che veniva poi cosparsa sugli animali da portare in
sacrificio. Dal nome di questa schiacciata viene fra l’altro il verbo
“immolare” che letteralmente voleva dire “cospargere di mola salsa”.
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