di Chiara Sacchetti
Quando
parliamo di alchimia immaginiamo subito un buio e zeppo laboratorio dove si vede un uomo
intento ad armeggiare liquidi e sostanze nelle sue boccette di vetro, magari
con un fuoco acceso dove riscaldare le sue essenze e compiere i suoi
esperimenti.
L’alchimia,
come del resto altre scienze antiche come l’astrologia e l’erboristeria, portano
con sé quell’alone di mistero e di curiosità che fanno di queste conoscenze
antiche qualcosa di magico. L’origine di questa disciplina risale alla notte
dei tempi, già gli antichi egizi studiavano e preparavano composti nel
tentativo di riprodurre l’oro: gli artigiani compivano qualcosa che per molti
poteva ritenersi una magia, cercando di dare vita ai metalli più preziosi, a
quell’epoca come del resto nella nostra, costosi e rari.
Heinrich Khunrath, Il laboratorio dell'alchimista
La leggenda vuole che il fondatore dell’alchimia nell’Antico Egitto sia stato il dio Thot chiamato Ermes Thot o Ermete Trismegisto (tre volte grande) e quello stesso Ermete dei Greci che avrebbe scritto ben 42 libri con il quale si sarebbero coperti tutti i campi dello scibile. Paragonando i due personaggi è facile accorgersi come le somiglianze siano moltissime: entrambi dei della parola e messaggeri o scribi delle divinità superiori e dei psicopompi, capaci cioè di passare da un regno all’altro. Con l’arrivo della civiltà occidentale in Egitto Ermete divenne il dio rivelatore e il mediatore fra gli uomini e gli dei. Autore importantissimo del famoso Corpus Hermeticus, fondamento della filosofia ermetica e soprattutto del Neoplatonismo rinascimentale, Ermete sarebbe secondo la leggenda anche colui che avrebbe inciso con un diamante la Tabula Smeraldina, un testo sapienziale ritrovato prima dell’Era cristiana. Secondo quanto raccontato sarebbe stata Sara, la moglie di Abramo, a scoprirlo nella tomba del filosofo, mentre per altre versioni sarebbero stati o Alessandro Magno o Apollonio di Tiana. La tavola, base dello sviluppo dell’alchimia, si proponeva di riassumere tutti i mutamenti della natura accentuando anche l’influenza astrale non solo sugli esseri umani ma anche su minerali e metalli.
Una figura
egizia certamente esistita è Zosimo di Panopoli. Di lingua greca ma di nascita
egizia, forse a Tebe o proprio appunto a Panopoli (nella Tebaide) Zosimo è
stato il primo a scrivere opere alchemiche in modo sistematico e firmando i
propri lavori, cosa rara e difficile in Egitto soprattutto perché questa
disciplina era sotto l’egida di Faraoni e sacerdoti cosa che rendeva di fatto
praticamente illegale poterne scrivere. Le opere sono dedicate ad una certa
Teosebia, che lui sostiene essere la sorella mentre altri ritengono più probabile
nella realtà una discepola, forse una fedele o un’eretica, o addirittura una
figura inventata per far avvicinare alla materia chiunque. Quello che è certo è
che Zosimo dimostra una certa conoscenza ed esperienza nelle preparazioni
chimiche di metalli e minerali e ci ha lasciato numerose ricette per ripeterle.
E proprio
dagli artigiani e orafi egizi ha inizio la prima delle tre fasi in cui è stata
definita invece l’evoluzione dell’alchimia greca che ha visto poi l’influenza
prima delle filosofie, in particolare quella di Pitagora e della Scuola Ionica,
e poi quella della religione. Se per il filosofo infatti i numeri rappresentano l’essenza di tutto e governano
l’Universo, la scuola ha dato il nome di Arché alla materia primordiale che lo
forma e che può essere spiegata soltanto attraverso attente analisi e indagini
filosofiche. Nella terza fase invece le credenze si trasformano in culti misterici
facendo così diventare l’alchimia come un antico culto di iniziazione e di
crescita, non solo della materia ma anche dell’alchimista stesso che partecipa
al processo. Ed è proprio da questa che deriva la concezione dell’alchimia che
durerà fino al XVII sec, con l’avvento poi della chimica e della fisica.
Il primo e
più importante alchimista greco era il medico e fisico del IV sec. a.C. Bolo
Democrito che nella sua opera Phisika trattò della preparazione di 4 elementi
fondamentali, l’oro, l’argento, le gemme e la porpora. Differisce dalle antiche
tecniche perché per primo si interessò alla trasformazione della materia
denunciando e annotandone i cambiamenti di colore dei metalli che di volta in
volta venivano sottoposti ai vari trattamenti.
Una figura
diversa che rappresenta l’interdisciplinarità dell’alchimia greca è certamente
Stefano d’Alessandria, filosofo matematico astronomo e alchimista alla corte di
Eraclio che dalle opere che ci ha lasciato emerge l’essenza sapienziale
dell’opera alchemica, fatta di simboli e allegorie, piuttosto che ricette e
preparati per trasformare i metalli in oro. Stefano infatti più che trattare
delle trasformazioni chimiche e fisiche della materia attraverso questa
disciplina dava molteplici temi alle sue composizioni retoriche poetiche e
religiose.
L'antica Biblioteca di Alessandria d'Egitto
E dalla
fusione greca con quella egizia nacque l’alchimia islamica. Non sappiamo chi
sia stato veramente il precursore, colui che ha dato inizio allo studio in
terra araba, ma quello di cui siamo certi è che storicamente ebbe origine dalla
combinazione degli studi di opere di egizi e greci. I primi nomi che troviamo
sono gli stessi di cui abbiamo parlato finora e molti termini greci tecnici
sono state traslitterati all’arabo con le traduzioni delle opere più
importanti.
La leggenda
racconta che il primo arabo ad interessarsi di alchimia sia stato il principe
omayyede Khalia Ibz Yazia. Il biografo ci racconta che l’uomo era appassionato
delle scienze e in particolare proprio dell’alchimia tanto prima da farsi
tradurre opere in arabo e successivamente circondare da numerosi esperti della
materia. Un giorno, Morienus, un discepolo proprio di quello Stefano
d’Alessandria di cui abbiamo appena parlato, arrivò alla sua corte si fece dare
una stanza e tutti gli strumenti necessari e in poco tempo compì la
trasformazione nel metallo più prezioso. Il principe rimasto sbalordito fece
sterminare i ciarlatani e nel trambusto Morienus scappò via. Fu cercato in
lungo e in largo e dopo molto tempo un servo del principe riuscì a ritrovarlo e
a riportarlo a corte: qui lo scienziato soddisfece tutte le curiosità e le
domande del principe.
Infine
troviamo Giabir Ibn Hoyyan, detto anche Geber, un orfano mandato in Arabia da
qualcuno che provvedesse a lui. Qui dopo aver studiato il Corano la matematica
e altre scienze entrò come alchimista alla corte di Harun Arrasha. Alla base
delle sue credenze troviamo la teoria aristotelica dei 4 elementi che sviluppò
però in modi diversi: postulò l’esistenza di 4 attributi fondamentali (dette
anche nature) di calore, freddo, aridità e umidità che unendosi ad una materia
formerebbero composti di primo grado. Questi ultimi a loro volta unendosi
darebbero così origine ad uno dei 4 elementi. Geber sottolineava anche
l’importanza dell’influsso dei pianeti nella formazione dei vari metalli dentro
la terra, per l’unione dello zolfo con il mercurio che a sua volta produrrebbe
le nature.
Giabir Ibn Hoyyan, detto anche Geber
Nel tempo
l’alchimia perse d’interesse per essere recuperata poi nel 1144 da Roberto di
Chester. Ma di questo ne parleremo in un'altra occasione.
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