di Mario Pagni
Le italiche tradizioni sono quanto di
più antico, affascinante e misterico possa esistere, in esse il passato ritorna
assieme alla Luce che indica e traccia il nostro futuro ed è così che a noi
piace raccontare l’Halloween “all’italiana”.
Un’antica leggenda pugliese vuole che nella notte fra l' uno e il due novembre i defunti tornino in vita per visitare i loro cari, rivedere le loro case e le loro città. Che siano, per una notte soltanto, di nuovo vivi. La leggenda racconta anche che le anime camminino per le strade con un preciso ordine: avanti i morti in modo naturale, poi i giustiziati, quindi quelli morti per disgrazia e quelli morti da subito, ovvero quelli che se ne sono andati in modo fulmineo, senza neppure rendersene conto.
Porgi una luce vera |
A qualcuno
questo potrà far sorridere, ma si tratta di uno dei tanti racconti popolari
legati alla Puglia. Racconti che si presentano, in modo più o meno simili, nel
Meridione ma anche in tutta l' Italia, confermando ancora una volta l'esistenza
di tradizioni universali legate alla nascita e alla morte, a volte perfino all'
amore. E così, se a Trani esiste una
testimonianza diretta del legame fra territorio e festa dei morti ovvero quella
Chiesa di Ognissanti costruita nella prima metà del XII secolo dai Templari con
un asse che punta al sorgere del sole del 1 Novembre 1100, numerose sono anche le tradizioni ormai
passate e dimenticate che in quest' occasione si ritrovano in tutta la Puglia.
La chiesa cattedrale di Trani |
Fra queste
spicca quella di Manfredonia, dove i bambini alla vigilia di Ognissanti
appendevano delle calze vicino ai letti, le cavezzette di murte, che di notte,
proprio come accade per l' Epifania, venivano riempite di dolci, si racconta,
dai defunti in persona. Sempre la stessa notte, contadini e ragazzi
passeggiavano per le campagne bussando alle case e alle masserie cantando una
serenata dedicata all'aneme de muerte,
(all'anima dei morti), chiedendo un po' di ospitalità.
Le calze doni nel giorno dei defunti |
Venivano
offerti loro vino, castagne e taralli, e l'accoglienza non di rado si
trasformava in una festa. Quello fra il
cibo e l'aldilà è però un legame molto stretto, che ha origini antichissime.
Già gli egizi seppellivano i faraoni e i notabili con scorte di viveri e
manufatti convinti che il defunto avrebbe avuto bisogno nella sua nuova vita di
cibo e oggetti e con i famosi ushabti statuette di legno o terracotta che
tornavano ad essere persone per servire nuovamente il loro padrone. I
babilonesi e gli assiri mettevano vicino ai loro morti dei vasi di miele; i
greci e i latini ponevano cibo e vini sia dentro le tombe che sopra. L' usanza
più curiosa è sicuramente quella legata ai persiani, che erano soliti porre
nelle tombe cibo necessario per tre giorni perché credevano che fosse questo il
tempo necessario all' anima per allontanarsi completamente dal corpo. E nel
Sud? Certamente diverso è il discorso per la tradizione nel Meridione che
prende una forma magica e i contorni di un banchetto funebre. E così, mentre in Calabria e Lucania per
Ognissanti si organizzavano delle offerte di pane per i propri cari, in alcuni
paesi della provincia di Bari il pane “pro
anima” veniva preparato direttamente sulla bara e sulle tombe per poi
essere offerto all' ingresso del cimitero o della casa del morto.
Fucacoste ad Orsara di Puglia |
Sulle tavole
pugliesi ancora oggi non manca il grano, da sempre emblema di vita e fertilità,
che per l’antica ma sempre viva tradizione, assume un forte valore rituale e
propiziatorio. Preparato con chicchi di melagrana, cannella, noci, zucchero,
cioccolato, canditi e mosto cotto, diventa il grano dei morti, chiamato anche colva, colba, cicc cuott, diffuso
soprattutto nella zona di Foggia. Un piatto particolare per un' occasione che
proprio nei dolci trova la massima celebrazione. Lo stesso per quei dolci chiamati fave dei morti o fave dolci, ma anche
ossa di morto, che spesso hanno proprio la forma di ossa e di dita e sono una
rielaborazione fatta di mandorle, pinoli, albumi e cioccolato di quel piatto
che centinaia di anni fa veniva consumato proprio per Ognissanti: le fave.
Spesso bollite con ceci, venivano infatti offerte agli angoli delle strade e
nei pressi dei cimiteri proprio la notte del 1° novembre. Peccato che la
diffusione del favismo mise in crisi quest' abitudine e così un piatto caldo si
trasformò in un gustoso dolce. Una leccornia perfetta per dare energie ai defunti
stremati per il lungo viaggio appena compiuto e desiderosi di ritrovare i
vecchi sapori che custodiscono i ricordi e il passato. La gioia che ormai solo
una vera tradizione è ancora in grado di difendere e trasmettere.
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