lunedì 14 marzo 2022

Giordano Bruno, il religioso eretico

di Chiara Sacchetti

Filippo Bruno, noto a tutti come Giordano Bruno, nacque a Nola, vicino a Napoli, nella Contrada di Giovanni de Cesco, come lui stesso ci ha raccontato e lasciato nei documenti del suo processo e grazie ai quali possiamo ricostruire la sua infanzia. I genitori, l'alfiere Giovanni Bruni e Fraulissa Savolina, facevano parte di una delle più nobili famiglie della Campania.

Giordano Bruno in un ritratto da giovane

La sua formazione fu inizialmente “privata” grazie al prete nolano, Giandomenico de Iannello che gli insegnò a leggere e scrivere, poi frequentò prima la scuola di un tale Bartolo di Aloia dove studiò la grammatica, e infine all’Università di Napoli per apprendere lettere, logica e dialettica da «uno che si chiamava il Sarnese» mentre seguiva assieme anche lezioni private di logica da un agostiniano, fra Teofilo da Vairano.

Il 15 giugno 1565 divenne novizio, anche se già a 14-15 anni circa aveva rinunciato al nome Filippo per quello di Giordano, non si sa se in onore di Beato Giordano di Sassonia, successore di san Domenico, o del frate Giordano Crispo, suo insegnante di metafisica, e aveva preso l’abito di frate domenicano da Ambrogio Pasca, priore del convento di San Domenico Maggiore a Napoli. L’anno successivo, a 18 anni, divenne professo e dimostrò quasi subito la sua indole poco affine alla controriforma, buttando via le immagini dei santi che aveva e lasciando con sé soltanto il crocefisso ed esortando un suo pari a gettare via il libro “Historia delle sette allegrezze della Madonna” che stava leggendo. Tanto più che la vita in convento non era così tranquilla e serena come si potrebbe pensare: soltanto tra il 1567 e il 1570 furono emesse 18 sentenze nei confronti di altrettanti frati del Convento per condanne del calibro di scandali sessuali furti e perfino di omicidio. Non stupisce pertanto che Giordano avesse maturato un certo disprezzo e profonde critiche nei confronti dei suoi confratelli che lo portarono a dedicarsi allo studio, unico passatempo giusto e onesto da fare. Non mancò nemmeno di leggere e apprendere studi cosiddetti proibiti, come le letture di Erasmo da Rotterdam che erano considerate eretiche e che lui era riuscito a procurarsi e ad analizzare di nascosto.

Il primo importante contatto avvenne nel 1576 quando si scontrò  con Agostino da Montalcino, un frate domenicano ospite nel convento al quale disse: «Ario diceva che il Verbo non era creatore né creatura, ma medio intra il creatore e la creatura, come il verbo è mezzo intra il dicente ed il detto, e però essere detto primogenito avanti tutte le creature, non dal quale ma per il quale è stato creato ogni cosa, non al quale ma per il quale si refferisce e ritorna ogni cosa all'ultimo fine, che è il Padre, essagerandomi sopra questo. Per il che fui tolto in suspetto e processato, tra le altre cose, forsi de questo ancora»

Chiesa di San Domenico Maggiore dove Giordano seguì il suo noviziato

La cosa non passò purtroppo inosservata e Bruno venne denunciato dal confratello al padre provinciale Domenico Vita che istituì un processo nei suoi confronti: l’unica soluzione per il frate fu quella di partire e arrivare a Roma dove venne ospitato nel convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva. Ma fu l’inizio della fine.

Nella città eterna, in quegli anni sopraffatta da omicidi e violenza, anche il frate venne accusato di omicidio, di aver ucciso e gettato nel Tevere un’altro frate, evento questo che lo costrinse a fuggire anche da Roma. Ma i mali non vengono mai da soli e gli arrivò la notizia del ritrovamento dei suoi libri di Erasmo nel Convento di Napoli e che lì stavano istituendo un processo contro di lui per eresia.  Bruno abbandonò quindi l’abito religioso, riprese il suo primo nome di Filippo e fuggì in Liguria. Da qui tanti viaggi in Italia e poi all’estero. Prima a Genova, Savona Torino e Venezia dove incontrò un’epidemia di peste che aveva fatto purtroppo anche illustri vittime come il pittore Tiziano, che lo costrinse a continuare il suo peregrinare, anche per le sue disquisizioni e dibattiti per «evitare le calunnie degli inquisitori, che sono ignoranti e che, non concependo la sua filosofia, lo accuserebbero di eresia». Come quelle a Ginevra dove si iscrisse all’università e dove però decise di accusare il professore di filosofia Antoine de la Faye di essere un cattivo insegnante e definendo "pedagoghi" i pastori calvinisti. Bruno venne per questo arrestato processato e scomunicato con l’accusa di diffamazione, ma il 27 agosto 1579 fu costretto a ritrattare e fuggì prima a Lione e poi a Tolosa. È in Francia, e precisamente a Parigi, che iniziò la stampa delle sue più importanti e famose opere, come De compendiosa architectura et complemento artis Lullii, il De umbris idearum (Le ombre delle idee) e l'Ars memoriae ("L'arte della memoria").

La cena delle ceneri di Giordano Bruno

Nel 1583 lasciò la Francia, non sappiamo bene per quali ragioni anche se alcuni sostengono che il clima proprio per i suoi insegnamenti si fosse fatto piuttosto pericoloso per restare, e si trasferì a Londra dove gli venne affiancato Giovanni Florio, giovane letterato di origini italiane che lo sostenne per tutto il tempo del suo soggiorno inglese data la sua scarsa conoscenza della lingua. Qui pubblicò in un unico testo altre tre opere famose, pubblicò, in un unico testo, l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum e il Sigillus sigillo rum e altre, tanto che fu questo certamente il periodo più florido per la sua produzione letteraria.

Tornato in Francia Bruno riprese la sua attività di studioso prendendo spesso nella biblioteca vicina libri di Tommaso d’Aquino, annotati dal bibliotecario che lavorava: sarà per lui un ulteriore elemento di accusa per il processo che purtroppo lo vedrà condannato.

La cabala di Giordano Bruno

Dopo varie peregrinazioni in Germania e in Svizzera, Giordano Bruno decise di tornare in Italia: non sappiamo il motivo che pare alquanto strano vista la situazione e soprattutto i rischi che avrebbe corso (e che poi in effetti corse) per questa decisione anche se alcuni sostengono che sia stato proprio perché richiamato dall’uomo che poi lo denunciò all’Inquisizione.

Nel marzo 1592 Giordano Bruno si trasferì a casa del patrizio veneziano Mocenigo interessato alle arti della memoria e alle discipline magiche, ma già dopo poco più di un mese lo informò il suo ospite di voler tornare a Francoforte per stampare delle sue opere. L’uomo però pensò che fosse una scusa per abbandonarlo e il giorno dopo lo denunciò all’Inquisizione accusandolo di blasfemia, di disprezzare le religioni, di non credere nella Trinità divina e nella transustanziazione, di credere nell'eternità del mondo e nell'esistenza di altri mondi infiniti, di praticare arti magiche, di credere nella metempsicosi, di negare la verginità di Maria e le punizioni divine.

L'arresto di Giordano Bruno

Era il 23 maggio 1592, la sera dello stesso giorno Giordano Bruno fu arrestato e tratto nelle carceri dell'Inquisizione di Venezia, in san Domenico a Castello.

Ne seguì un processo lungo e terribile.

L'8 febbraio 1600, davanti ai cardinali inquisitori e dei consultori Benedetto Mandina, Francesco Pietrasanta e Pietro Millini, fu letta la sentenza di condanna e la pena di morte al rogo a cui era stato giudicato. Si racconta che finita la lettura Bruno si alzò in piedi pronunciando la sua frase storica «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» («Forse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarla»). Dopo aver rifiutato i conforti religiosi e il crocefisso, il 17 febbraio, con la lingua in giova –serrata da una mordacchia perché non potesse parlare– venne condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri verranno poi gettate nel Tevere.

Piazza del Campo dei Fiori a Roma

«Egli volse il viso pieno di disprezzo quando ormai morente, gli venne posta innanzi l'immagine di Cristo crocefisso. Così morì bruciato miseramente, credo per annunciare negli altri mondi che si è immaginato in che modo i Romani sono soliti trattare gli empi e i blasfemi. Ecco qui, caro Rittershausen, il modo in cui procediamo contro gli uomini, o meglio contro i mostri di tal specie.»

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