di Chiara
Sacchetti
Tutti o
quasi conoscono William Shakespeare, celebre scrittore inglese del Seicento,
autore di alcune delle più famose opere in prosa e in poesia della letteratura
anglosassone. Parlare di lui significa quindi parlare dell’Inghilterra o almeno
lo è ufficialmente. Sì perché varie e curiose sono le ipotesi sulla sua nascita
e vita a partire dall’ipotesi che possa essere italiano.
Poche anzi pochissime sono le notizie
sicure sulla sua vita. Sappiamo che venne battezzato a Stanford il 26 aprile 1564 e quindi è
ragionevole pensare che la sua nascita debba essere collocata a qualche giorno
antecedente a questo. Nei registri scolastici invece non si hanno notizie su di lui anche se molti studiosi ritengono
abbia frequentato la King's New School, un istituto gratuito per i maschi della
cittadina. Poi anni bui e incerti
riempiti da pochi avvenimenti ufficiali e certi come il matrimonio con Anne
Hataway, la nascita di due gemelli e l’inizio della sua carriera prima da attore
e poi da scrittore a Londra.
Come è possibile che uno che non avrebbe mai studiato sia riuscito a scrivere capolavori del genere? E poi come si è arrivati a pensare che il famoso scrittore di Giulietta e Romeo in realtà non fosse altro che uno pseudonimo e che nasconda alcune identità e origini italiane?
Ai primi del
secolo scorso il futuro giornalista del Novecento Santi Paladino trovò un testo
della libreria paterna di un certo Michel Agnolo Florio che nascondeva
moltissime citazioni delle opere dello scrittore inglese. Colto da curiosità
Santi capì che non poteva trattarsi di plagio giacché l’opera ritrovata era
antecedente a quelle di Shakespeare di oltre 50 anni e cominciò così ad
indagare. Scoprì che l’uomo era un frate fiorentino convertito al
Protestantesimo e perseguitato per questo dalla Chiesa, cosa che lo costrinse a
scappare dal 1550 in tutta Italia e poi a traslocare in Inghilterra dove ebbe
un figlio di nome John per poi trasferirsi stabilmente a Soglio in Svizzera. Infine
tornò in Inghilterra dove cominciò a scrivere drammi e sonetti e trovò la morte
nel 1605, anno fra l’altro in cui lo Shakespeare storico che noi conosciamo
smise la sua attività letteraria.
Nella sua
idea Paladino sosteneva che William Shakespeare sia esistito ma che sarebbe
stato aiutato da Michelangelo Florio e da suo figlio John, conosciuto in
Inghilterra per la sua opera letteraria e linguistica visto che aveva apportato
nuove parole di origine italiane nella lingua inglese.
Il 4
novembre 1927 sulla rivista “L'Impero” venne pubblicato l’articolo di un
giornalista con il titolo: «Il grande
tragico Shakespeare sarebbe italiano». La tesi ovviamente non piacque agli
inglesi tanto che subito dopo la visita di Winston Churchill, Mussolini ordinò la chiusura dell’Accademia
nazionale shakespeariana di Reggio Emilia nata dai seguaci proprio del
giornalista. Tutta la storia venne quindi taciuta e rimase nel
dimenticatoio fino al 2002 quando il professor Martino Iuvara, un docente di
letteratura in pensione, riprese lo studio di questa ipotesi approfondendo le
ricerche e riuscendo a mettere in luce alcune particolarità inequivocabili e
ponendo anche molte domande in proposito.
Il 4
novembre 1927 sulla rivista “L'Impero” venne pubblicato l’articolo di un
giornalista con il titolo: «Il grande
tragico Shakespeare sarebbe italiano». La tesi ovviamente non piacque agli
inglesi tanto che subito dopo la visita di Winston Churchill, Mussolini ordinò la chiusura dell’Accademia
nazionale shakespeariana di Reggio Emilia nata dai seguaci proprio del
giornalista. Tutta la storia venne quindi taciuta e rimase nel
dimenticatoio fino al 2002 quando il professor Martino Iuvara, un docente di
letteratura in pensione, riprese lo studio di questa ipotesi approfondendo le
ricerche e riuscendo a mettere in luce alcune particolarità inequivocabili e
ponendo anche molte domande in proposito.
Lo studioso scoprì
che un altro Michelangnolo Florio era nato a Messina il 23 aprile 1564 dal medico
italiano Giovanni Florio e da Guglielma Crollalanza, una nobildonna: entrambi i genitori erano di origine
ebraica e di religione calvinista e proprio per questo dovettero scappare con
tutta la famiglia prima a Treviso e poi in altri luoghi per sfuggire alla
persecuzione religiosa da parte dell’Inquisizione. Da adulto passò la vita a
viaggiare in Danimarca, Austria e Spagna, divenendo un umanista di ottima
cultura e chiamato spesso come precettore delle più importanti e nobili
famiglie del tempo. Alla fine arrivò a Londra e nello stesso periodo un suo
lontano parente, che faceva l’attore nei teatri decedeva, e lui pensò bene di
sostituirsi a lui: ma qualcuno se ne accorse per il suo inglese non perfetto e
fu costretto a ritirarsi dalle scene.
Come poteva
il figlio di un guantaio analfabeta come lo era Shakespeare ad avere una cultura così vasta come di fatto le
sue opere dimostrano? 15 drammi su 37
per giunta sono ambientati in Italia e quindi sarebbe lecito chiedersi come
potrebbe essere stato possibile descrivere così fedelmente quei luoghi senza
averci mai messo piede? Oltretutto, forse non proprio casualmente, nell’Amleto,
appaiono due cognomi di due compagni di
università di Florio, ossia Rosencrantz e Guilderstern, studenti danesi;
nel Mercante di Venezia invece emerge una conoscenza della legislatura della
città del periodo piuttosto ampia che sicuramente per un abitante di Londra era
impossibile da conoscere. E ancora. Nella commedia “Molto rumore per nulla” c’è
una battuta detta dal protagonista «Mizzeca, eccellenza!» che solo un siciliano
poteva conoscere e fra l’altro il titolo dell’opera è la traduzione inglese di
una commedia giovanile del Florio (Tantu traficu ppi nenti).
Molto rumore per nulla |
Come se non
bastasse durante le sue ricerche lo studioso scoprì che Florio si era innamorato di una ragazza di nome Giulietta
che a causa dell’opposizione della sua famiglia a questo amore purtroppo si
sarebbe suicidata, proprio come la protagonista della celebre opera
shakespeariana. Se poi andiamo a vedere i registri delle scuole di Stanford,
dove il Bardo avrebbe vissuto la sua infanzia, non troviamo neanche un William Shakespeare come del resto nell’elenco
degli apparentanti al Club In che sappiamo che il drammaturgo frequentava:
al suo posto però troviamo il nome di un altro nostro conoscente, ossia quello
di Michelangelo Florio.
Infine, la
traduzione letterale di Shakespeare
sarebbe proprio il cognome della madre, Crollalanza, Shake infatti vuol
dire “agita”, “scrolla” mentre “spear” significa “lancia”. Sempre secondo
Palladino l’uomo avrebbe deciso di cambiare il cognome per allontanarsi dalle
persecuzioni contro i Calvinisti. Il nome William invece sarebbe quello al
femminile della madre, Guglielma.
Casualità?
Difficile dirlo. E difficile soprattutto
sostenere che certi particolari siano semplicemente frutto di una coincidenza
fortuita. Si dice che due indizi facciano una prova e qui ne abbiamo anche
molti di più. Chi non pare avere dubbi ma solo certezze è il Times. La nota
rivista inglese infatti, alla notizia di queste scoperte e delle successive e singolari
ipotesi al riguardo ha così commentato: «Il mistero di come e perché
Shakespeare sapeva così tanto dell'Italia ed ha messo tanta Italia nelle sue
opere, è stato risolto da un accademico siciliano in pensione. La questione
risiede nel fatto che Shakespeare non era affatto inglese, ma italiano».
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