di Chiara
Sacchetti
È la
disciplina di perfezionamento spirituale
che attraverso metodi e dottrine consente di arrivare all’approfondimento
interiore.
L’origine
della parola non è certa, secondo alcuni
deriva dal sostantivo ṣūf, ossia
«lana», riferito forse al saio che indossarono i primi adepti in segno di
povertà e di reverenza verso Dio, il cosiddetto “vestito della pietà”
menzionato nella sura del Limbo;
secondo altri, (ed è la versione più probabile), il termine deriva da ṣafā’ (purezza) o da ṣuffa (portico) e
richiama forse il portico della casa di Maometto a Medina dove l’uomo ospitava
personaggi illustri e teneva le sue lezioni.
Ma è dall’ottavo secolo. che si ha la prima documentazione ufficiale della presenza dei sufi, ossia i devoti di al-Kūfa e già nel secolo successivo con questo termine venivano indicate le persone che si dedicavano ad un percorso mistico attraverso le discipline spirituali. Nel tempo poi anche il rapporto fra il Maestro e l’allievo inteso come relazione che porta ad uno sviluppo spirituale di quest’ultimo, si evolse poi diventando sempre più stretto e strutturato fino a quando, nel XII e XIII secolo si arrivò alla costituzione di vere e proprie confraternite e ordini, favorita anche dalla crisi del mondo islamico classico e dall’islamizzazione di nuovi territori in Africa e Asia. I nuovi nuclei che traevano il proprio nome dal santo fondatore, si presentavano con una struttura piramidale, favorendo così anche la crescita e la diffusione del culto dei santi, vivi e defunti. Ogni congregazione aveva e ha tuttora al suo centro il Maestro, l’unico in grado di poter trasmettere e influenzare gli adepti al nuovo cammino, ed è lui a svolgere il rituale di iniziazione per i nuovi allievi, attraverso l’insegnamento del sapere e delle pratiche tipiche, come la preghiera, il canto e balli ripetuti freneticamente assieme a parole che formano una sorta di varie formule magiche che stimolano alla vicinanza con il divino. Quando il Maestro fondatore muore gli succede un altro già designato precedentemente.
Ciò che è
bene precisare è che parlare di sufismo non significa riferirsi all’ascetismo, la
differenza sostanziale fra queste due attività è che l’ultima è un espressione
pratica caratterizzata soprattutto da digiuni, preghiere, veglie e penitenze
per perfezionare l’anima per l’aldilà; il
sufismo invece, ambisce al portare e unirsi alla presenza divina già a partire
dalla vita terrena, stimolata dall’esperienza di alcuni Profeti come quella di
Mosè sul monte Sinai dove Dio gli consegna le Tavole della Legge. Il
sufismo richiama e racchiude moltissimi rituali e credenze del mondo antico, in
una concezione di rinascita dell’individuo.
Alla base
della dottrina c’è la credenza che l’uomo
è composto da tre dimensioni: la prima quella materiale, cioè il corpo che
impedisce e ferma lo sviluppo spirituale di ogni essere; la seconda è l’anima,
dove risiedono tutte le caratteristiche dell’uomo stesso, la sua morale,
l’indole, e le credenze e sulle quali agiscono le forze per una continua
ricerca dell’equilibrio; la terza e l’ultima è lo spirito, sconosciuto a tutti
eccetto che a Dio. È sull’anima che le pratiche sufiche agiscono, volte a
migliorare e a sviluppare l’indole per arrivare al divino.
Secondo la dottrina dei Sufi ci sono sette gradi di sviluppo, o più precisamente di ascesi mistica, per arrivare alla comprensione e alla presenza di Dio: il primo è quello del corpo, simboleggiato da Adamo, il primo uomo, associato al suono e al colore nero-grigio; il secondo è vitale, che richiama Noè, colui che ha salvato gli animali e la specie umana dal Diluvio Universale, che richiama la luce e l’azzurro; il terzo è il cuore, che rimanda invece ad Abramo, il più vicino a Dio pronto a sacrificare l’unico figlio per lui, che riporta al numero (e alla geometria costruttiva e quindi anche alla sezione aurea) e al rosso; il quarto invece è il sovraconscio grazie al quale si hanno dialoghi con la divinità proprio come Mosè, che rimanda alla lettera, intesa come i significati segreti dei nomi, e al bianco; il quinto è Davide e rinvia alla spiritualità, alla parola e al giallo; il sesto è simboleggiato da Gesù che portò la parola di Dio sulla Terra, è lui il simbolo stesso ed è associato al colore nero lucente; infine il settimo è il sigillo eterno, la completezza, che viene rappresentato da Maometto, e richiama al ritmo e alla simmetria mentre il colore ad esso associato è il verde smeraldo.
Fra le pratiche del Sufismo troviamo
il dhikr, una ripetizione continua di una formula che richiama Allah, spesso
eseguita assieme alla danza dei dervisci: la reiterazione continua della frase e il ballo
facilitano l’abbandono dell’iniziato ad uno stato di estasi, alla perdita del
contatto con il mondo materiale quindi ad una vicinanza con Dio.
Infine una curiosità. Fra gli adepti del Sufismo troviamo anche il notissimo cantante Franco Battiato, e in alcune delle sue canzoni è facile ritrovare riferimenti alla dottrina e soprattutto a questi passaggi rituali esoterici dello sviluppo e per lo sviluppo e la crescita spirituale della persona.
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