di Mario Pagni
Sovicille (SI), Pieve di San Giovanni Ponte allo Spino |
Il periodo o stile romanico, vede la particolare fioritura di edifici a carattere religioso molto particolari il cui uso non era soltanto tale, ma si estendeva anche al controllo e la manutenzione della viabilità servendo talora anche di alloggio o rifugio, se pur provvisorio, per viandanti e anche agricoltori o pastori della zona. Non dobbiamo confondere una pieve né con un’abbazia, né con un santuario, né con una delle tantissime chiese sparse nelle città e nel territorio, diviso all’epoca proprio in pivieri, ovvero distretti dipendenti dalla pieve stessa. La pieve, differiva dalle altre chiese per essere detentrice delle due caratteristiche fondamentali riferite alla vita dell’essere umano, ovvero, la sua nascita e la sua morte. La pieve infatti, era dotata sia di fonte battesimale per trasformare il nascituro in un vero cristiano, che del cimitero necessario al salvataggio dell’anima del defunto, l’Alfa e l’Omega, la lettera iniziale e finale dell’alfabeto greco, ovvero il princìpio e la fine. Il periodo della massima importanza della pieve, va dall’VIII al XIII secolo.
Fonte battesimale di forma ottagonale |
I documenti più completi del loro reticolo sono le Rationes decimarum (elenchi delle decime). I più antichi sono della fine del XIII secolo, conservati negli archivi vaticani ed ora recentemente pubblicati.
Per dare
un’idea del rapporto tra pievi e altre istituzioni ecclesiastiche, prendiamo
come esempio la diocesi di Arezzo, una delle più estese della Toscana.
Alpha e Omega il principio e la fine |
Essa si
estendeva dal corso del Tevere fino a quello dell’Orcia, molto a sud di
Montalcino. Orbene, alla fine del ‘200 nella diocesi aretina, su oltre 800
chiese censite (con quelle minori non censite o private erano più di un
migliaio) le pievi urbane erano due, ad Arezzo e Cortona; nel vastissimo
territorio invece ben 67. Ognuna aveva un suo distretto con precisi confini,
del quale era posta generalmente al centro. All’interno di questa
organizzazione, alcune pievi avevano poste sotto la loro giurisdizione, anche
più di trenta chiese suffraganee o
appunto dipendenti dalla pieve stessa. È il caso di Socana, Partina, Gropina.
Si trattava
di chiese madri, che cominceranno a nascere quando verranno evangelizzate molto
gradualmente tutte le campagne, dopo che vi si erano formate folte comunità
cristiane a cominciare dalla fine del V secolo, non senza ritorni di
paganesimo, deviazioni eterodosse, o processi di ulteriore nuova
cristianizzazione.
Caratteri stilistici del periodo romanico |
Continueranno
a nascere altre pievi anche nei secoli successivi fino al primo medioevo
anche per la decisa ripresa demografica. Una battuta
d’arresto, anzi una vera lacerazione del reticolo delle chiese battesimali
nascente, fu l’invasione dei Longobardi per lo più pagani o ariani, alla fine
del VI secolo, ma alla fine del VII
secolo, il reticolo era ormai sistematicamente formato, pur sopravvivendo
alcune sacche di paganesimo. Nella pieve viveva in comunità un gruppo di
sacerdoti, che officiavano anche nelle vicine chiese suffraganee, sempre più
numerose nel territorio plebano.
Ma come
abbiamo detto, i riti fondamentali, come il sacramento del Battesimo, con il
quale si entra a far parte della comunità dei fedeli, e la celebrazione del
defunto fino al seppellimento cristiano,
si
celebravano nella chiesa plebana, dove si raccoglieva l’intera comunità dei
fedeli. Questi percorrevano all’epoca lunghe distanze, anche superiori a 15
chilometri per poter raggiungere la pieve, per lo più a piedi; precisazione più
che necessaria, viste le moderne abitudini e comodità.
Nei primi
secoli, la pieve si chiamava ecclesia, trascrizione
precisa della parola greca che significa assemblea,
poi, dall’VIII secolo, la parola plebes, termine che indicava proprio la comunità dei
fedeli, passò ad indicare il vasto territorio della comunità, e poi l’edificio
dove questa si riuniva.
Arezzo, Pieve di Gropina, Pulpito con simbologie dei4 Evangelisti e nodo di Salomone |
Ma l’aspetto
importante, come accennato in precedenza, sarà la sua valenza anche
civile. Nell’edificio infatti, l’unico
sempre più spazioso e decente di un vasto territorio, venivano discussi anche i
problemi non di tipo religioso: si parlava di strade, di ponti e di altro e vi
si facevano persino contratti. La pieve era quindi l’unico punto di
aggregazione civile e religiosa. I due aspetti, così distinti per noi, nel
medioevo si confondevano.
Nei
contratti di vendita o di affitto, il notaio, come oggi fa riferimento al
comune, alla frazione, al punto di territorio, allora, per molti secoli, faceva
riferimento alla pieve e al casale,
porzione del distretto plebano, nonché al nome del punto preciso di territorio.
Un altro
aspetto estremamente interessante, era che su 67 pievi ad esempio della diocesi
aretina, quante ne risultano negli
elenchi meglio documentati del XIII e
XIV secolo, per almeno 50 di esse sono accertate le tracce di precedenti
insediamenti più antichi, spesso accertati da un semplice rilevamento di
superficie.
È facile
comprendere da ciò chiaramente, che quando molte pievi venivano fondate proprio in quel punto, sopravvivevano ancora
in prevalenza molti antichi agglomerati rurali, rispetto ai molti nuovi che
nasceranno dopo, come risulta facile dimostrare anche in base alla percentuale
dei toponimi etrusco-romani, molto
maggiore nei siti plebani, rispetto a quella dei siti delle chiese suffraganee,
per lo più nate successivamente. Per l’archeologia moderna questi suggerimenti
che il passato e lo stesso territorio riescono a comunicare, sono assai
preziosi se non determinanti per la localizzazione e lo studio comparato di
precedenti insediamenti .
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