giovedì 18 febbraio 2021

Valenze e simbolismi nella Pieve romanica

di Mario Pagni

Sovicille (SI), Pieve di San Giovanni Ponte allo Spino

Il periodo o stile romanico, vede la particolare fioritura di edifici a carattere religioso molto particolari il cui uso non era soltanto tale, ma si estendeva anche al controllo e la manutenzione della viabilità servendo talora anche di alloggio o rifugio, se pur provvisorio, per viandanti e anche agricoltori o pastori della zona. Non dobbiamo confondere una pieve né con un’abbazia, né con un santuario, né con una delle tantissime chiese sparse nelle città e nel territorio, diviso all’epoca proprio in pivieri, ovvero distretti dipendenti dalla pieve stessa. La pieve, differiva dalle altre chiese per essere detentrice delle due caratteristiche fondamentali riferite alla vita dell’essere umano, ovvero, la sua nascita e la sua morte. La pieve infatti, era dotata sia di fonte battesimale per trasformare il nascituro in un vero cristiano, che del cimitero necessario al salvataggio dell’anima del defunto,  l’Alfa e l’Omega, la lettera iniziale e finale dell’alfabeto greco, ovvero il princìpio e la fine. Il periodo della massima importanza della pieve, va dall’VIII al XIII secolo. 

Fonte battesimale di forma ottagonale

I documenti più completi del loro reticolo sono le Rationes decimarum (elenchi delle decime). I più antichi sono della fine del XIII secolo, conservati negli archivi vaticani ed ora recentemente pubblicati.
Per dare un’idea del rapporto tra pievi e altre istituzioni ecclesiastiche, prendiamo come esempio la diocesi di Arezzo, una delle più estese della Toscana.

Alpha e Omega il principio e la fine

Essa si estendeva dal corso del Tevere fino a quello dell’Orcia, molto a sud di Montalcino. Orbene, alla fine del ‘200 nella diocesi aretina, su oltre 800 chiese censite (con quelle minori non censite o private erano più di un migliaio) le pievi urbane erano due, ad Arezzo e Cortona; nel vastissimo territorio invece ben 67. Ognuna aveva un suo distretto con precisi confini, del quale era posta generalmente al centro. All’interno di questa organizzazione, alcune pievi avevano poste sotto la loro giurisdizione, anche più di trenta chiese suffraganee o appunto dipendenti dalla pieve stessa. È il caso di Socana, Partina, Gropina.

Si trattava di chiese madri, che cominceranno a nascere quando verranno evangelizzate molto gradualmente tutte le campagne, dopo che vi si erano formate folte comunità cristiane a cominciare dalla fine del V secolo, non senza ritorni di paganesimo, deviazioni eterodosse, o processi di ulteriore nuova cristianizzazione.

Caratteri stilistici del periodo romanico

Continueranno a nascere altre pievi anche nei secoli successivi fino al primo medioevo anche per  la decisa ripresa demografica. Una battuta d’arresto, anzi una vera lacerazione del reticolo delle chiese battesimali nascente, fu l’invasione dei Longobardi per lo più pagani o ariani, alla fine del  VI secolo, ma alla fine del VII secolo, il reticolo era ormai sistematicamente formato, pur sopravvivendo alcune sacche di paganesimo. Nella pieve viveva in comunità un gruppo di sacerdoti, che officiavano anche nelle vicine chiese suffraganee, sempre più numerose nel territorio plebano.

Ma come abbiamo detto, i riti fondamentali, come il sacramento del Battesimo, con il quale si entra a far parte della comunità dei fedeli, e la celebrazione del defunto fino al seppellimento cristiano,

si celebravano nella chiesa plebana, dove si raccoglieva l’intera comunità dei fedeli. Questi percorrevano all’epoca lunghe distanze, anche superiori a 15 chilometri per poter raggiungere la pieve, per lo più a piedi; precisazione più che necessaria, viste le moderne abitudini e comodità.

Nei primi secoli, la pieve si chiamava ecclesia, trascrizione precisa della parola greca che significa assemblea, poi, dall’VIII secolo, la parola plebes, termine che indicava proprio la comunità dei fedeli, passò ad indicare il vasto territorio della comunità, e poi l’edificio dove questa si riuniva.

Arezzo, Pieve di Gropina, Pulpito con simbologie dei4 Evangelisti e nodo di Salomone

Ma l’aspetto importante, come accennato in precedenza, sarà la sua valenza anche civile.  Nell’edificio infatti, l’unico sempre più spazioso e decente di un vasto territorio, venivano discussi anche i problemi non di tipo religioso: si parlava di strade, di ponti e di altro e vi si facevano persino contratti. La pieve era quindi l’unico punto di aggregazione civile e religiosa. I due aspetti, così distinti per noi, nel medioevo si confondevano.

Nei contratti di vendita o di affitto, il notaio, come oggi fa riferimento al comune, alla frazione, al punto di territorio, allora, per molti secoli, faceva riferimento alla pieve e al casale, porzione del distretto plebano, nonché al nome del punto preciso di territorio.

Un altro aspetto estremamente interessante, era che su 67 pievi ad esempio della diocesi aretina, quante  ne risultano negli elenchi meglio documentati del  XIII e XIV secolo, per almeno 50 di esse sono accertate le tracce di precedenti insediamenti più antichi, spesso accertati da un semplice rilevamento di superficie.

È facile comprendere da ciò chiaramente, che quando molte pievi venivano fondate  proprio in quel punto, sopravvivevano ancora in prevalenza molti antichi agglomerati rurali, rispetto ai molti nuovi che nasceranno dopo, come risulta facile dimostrare anche in base alla percentuale dei toponimi etrusco-romani,  molto maggiore nei siti plebani, rispetto a quella dei siti delle chiese suffraganee, per lo più nate successivamente. Per l’archeologia moderna questi suggerimenti che il passato e lo stesso territorio riescono a comunicare, sono assai preziosi se non determinanti per la localizzazione e lo studio comparato di precedenti insediamenti .

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