lunedì 15 febbraio 2021

La Sindone, il vero sudario di Cristo?

di Chiara Sacchetti

È il lenzuolo più famoso e importante per la Cristianità, una reliquia che non ha eguali e paragoni. Per chi crede è la stoffa con la quale sarebbe stato avvolto il corpo di Gesù dopo la sua morte, e tutto ciò che resterebbe della sua resurrezione, quando la domenica successiva le tre Marie sarebbero andate per preparare il suo corpo, scoprendo invece il sepolcro vuoto.

Sulla stoffa, impresso, dipinto o forse chissà in che modo, sarebbe rappresentato un uomo morto crocifisso, con una corona di spine sulla testa e la ferita sul costato, proprio come ci raccontano le Sacre Scritture nella vita di Gesù Cristo.

La Sindone

Ma è veramente un segno tangibile dei Vangeli? E quale è la storia?

Non si hanno notizie della Sindone fino al 20 giugno 1353 quando il cavaliere Goffredo di Charny dona alla collegiata di una chiesa nella cittadina di Lirey, che lui stesso ha fatto costruire, il lenzuolo che dice essere quello che avvolse il corpo di Cristo. Siamo abbastanza certi della veridicità del racconto perché in un medaglione votivo ritrovato nella Senna due secoli fa vengono rappresentati il lenzuolo e assieme gli stemmi delle famiglie Charny e Vergy, ossia la sua casata e quella della moglie Giovanna. L’uomo purtroppo non specifica come ne è entrato in possesso, ma è da quel momento in poi che l’oggetto entra nella storia.

Stemma con l'immagine della Sindone

Varie e diverse sono le ipotesi che provano a spiegare l’assenza di menzioni di una reliquia fondamentale come è la Sindone per la religione cristiana fino a quel momento. Qualcuno sostiene che si potesse trattare del cosiddetto Mandylion, la reliquia, oggi perduta, presente ad Edessa già dal 544 e portatrice di moltissimi miracoli, che rappresentava però soltanto il volto di Gesù. Secondo questa teoria infatti il Mandylion potrebbe essere stato la stessa Sindone, ripiegata appositamente per mostrare soltanto il viso del Salvatore e che proprio da questa raffigurazione si sarebbe poi diffusa l’immagine di Cristo con la barba, fino a quel momento sconosciuta. Del cimelio si sarebbero perse le tracce dal 1204, quando dopo che il generale bizantino Giovanni Curcua qualche secolo prima l’aveva portata a Costantinopoli, la città subì un forte assedio durante la Quarta Crociata.

Qualcun altro sostiene invece che la Sacra Sindone poteva essere il cosiddetto Velo della Veronica, di cui non sappiamo più niente dal 1608, anno della costruzione della nuova Basilica di San Pietro: anche in questo caso, ci troviamo di fronte al volto di Cristo su di un lenzuolo che secondo la leggenda avrebbe usato per pulirsi dal sangue durante la salita al Monte Calvario. Difficile dirlo. Anche perché per oltre tre secoli le due reliquie sarebbe vissute contemporaneamente e quindi in questo caso inverosimilmente confuse.

Per tornare alla storia certa della Sindone, passati anni dopo la donazione di Geoffrey fra dispute per la sua esposizione e la proprietà, si arriva al 1415 quando il conte Umberto de La Roche, marito di Margherita de Charny (nipote di Goffredo) decide di prendere la reliquia e di tenerla nascosta con la scusa della guerra fra la Borgogna e la Francia. A ostilità finita però la donna, rimasta nel frattempo vedova, si rifiuta di riconsegnarla e parte per un viaggio in tutta Europa per esporla, con un continuo tira e molla con i vescovi per la restituzione. Alla fine nel 1453 Margherita decide di venderla ai Duchi di Savoia che la terranno fino al 1983 quando morendo Umberto II di Savoia, l’ultimo re d’Italia, la Sindone viene donata al Papa, il quale dispone che resti a Torino e nomina custode della reliquia l’arcivescovo della città.

Sacro Monte di Varallo, Gesù deposto nella Sindone

Ai primi del 1500 i Savoia a Chambery decidono di costruire una cappella per ospitare la preziosa reliquia ma il luogo senza alcuna ragione apparente prende fuoco: il reliquiario d’argento è già avvolto dalle fiamme quando l’oggetto viene salvato e qualche goccia di argento cadendo sul lenzuolo lo rovina e costringe le suore clarisse a ripararlo con pezzi di stoffa. Qualcuno sostiene anche viste alcune bruciature circolari che durante le esposizioni precedenti la reliquia sarebbe stata scottata dalle candele poste vicine per far luce.

Con il trasferimento della capitale del ducato a Torino i Savoia portano con sé la Sindone dove resterà, seppur con qualche parentesi, fino ai giorni nostri, non senza numerosi nuovi incidenti. Quello più fortunoso è dei tempi recenti: nella notte fra l’11 e il 12 aprile 1997 la cappella Guarini che la custodiva  in una teca va a fuoco, probabilmente a causa dei lavori che si stavano svolgendo. Miracolosamente anche questa volta, qualche giorno prima la reliquia era stata spostata proprio a causa delle operazioni di restauro e resta dunque illesa. Per precauzione venne comunque tolta dalla teca stessa e messa in salvo. Gli accertamenti successivi confermarono che la reliquia era intatta ma che se fosse invece stata nella cappella, (che durante l’incendio sarebbe arrivata alla terribile temperatura di 1000 gradi), sarebbe sicuramente andata perduta.

Cappella Guarini, dove è conservata la Sindone in un'antica fotografia

Ma il problema cruciale della Sindone è se si tratta o meno di un falso. La Chiesa in tempi recenti ha preferito glissare su tutta la questione, alcuni Papi hanno espresso pareri personali al riguardo ma non esiste ad oggi una posizione ufficiale. Di certo è che fin da principio se lo sono chiesti anche coloro che ne sono venuti in possesso dopo la donazione di Goffredo.  Già pochi anni dopo, quando i canonici di Lirey decisero di esibire la reliquia, il vescovo di Troyes ne vietò l’ostensione ritenendola un falso, mentre l’antipapa Clemente VII in ben quattro bolle ne permise invece l’esposizione, ma come una pictura seu tabula, ossia un dipinto.

Per qualche secolo l’attenzione sulla Sindone viene meno, almeno fino alla fine dell’Ottocento quando Secondo Pia, dopo aver chiesto il permesso al re, fotografa la reliquia: la scoperta e la sorpresa arrivarono dopo lo sviluppo. La fotografia positiva mostrava in realtà il suo negativo, mentre quest’ultimo a sua volta era il suo positivo, come se la stessa Sindone fosse essa stessa  una fotografia. Ovvio e scontato che la scoperta riportò nuovamente l’attenzione su quella preziosa quanto enigmatica reliquia. Pochi anni dopo, convinti di una manomissione della foto, altri scettici decidono di fotografare nuovamente la Sindone. Ma allo sviluppo il risultato conferma quello precedente. La Sindone è in realtà un negativo, mentre quest’ultimo è un positivo.

Il Negativo e il Positivo della fotografia della Sindone

Sulla reliquia iniziano così indagini e studi. Vengono prelevati campioni e viene analizzata nei minimi dettagli. Uno dei primi fu l’esame al cosiddetto C14, (Carbonio14) importantissimo per la datazione degli oggetti, che colloca il lenzuolo fra il 1260 e il 1390, un arco di tempo questo che riporta agli anni della donazione di Goffredo ai canonici di Lirey, e prima attestazione ufficiale della sua esistenza. Studi recenti, che hanno ripreso i dati conclusivi, hanno però messo in evidenza come i campioni presi in considerazione erano misti e quindi non valutabili: quasi certamente infatti si trattava di quella parte di tessuti rammendati nel 1500 a seguito del grave incidente che la Sindone subì durante l’incendio della cappella.

Anche l’esame delle tracce ematiche non ha mai dato esiti certi. I primi risultati dimostrarono che le macchie che si credevano di sangue in realtà erano costituite da ocra rossa, cinabro e alzarina, tutti coloranti usati nel periodo medievale. Successivi test invece hanno dato esisti opposti: le tracce ritrovate erano formate esclusivamente da emoglobina, albumina e bilirubina e le macchie analizzate si scioglievano in un composto di enzimi, cosa che confermerebbe essere composte da sostanze proteiche e non da pigmenti minerali.

Anche il tipo di tessuto e il modo con cui sarebbe stato usato non combaciano con quelli tipici dell’epoca di Gesù. «Una sindone ritrovata ad Akeldamà (analizzata al carbonio 14, e datata 50 a.C./70 d.C.) mostra molte differenze rispetto a quella di Torino: le braccia distese ai lati; collo, polsi e caviglie fermati con appositi bendaggi. Il tessuto era di lana, la struttura 1:1 (la sindone di Torino è a spina di pesce 3:1), la trama è a S (quella di Torino è a Z)».

Difficile dire se la Sindone sia o meno vera nel senso cristiano del termine e se sia quindi stata davvero il lenzuolo con cui è stato avvolto il corpo di Cristo dopo la crocifissione. Le analisi svolte soprattutto in questi ultimi due secoli hanno dato esiti differenti e spesso sono state confutate. Certo è che ad ogni ostensione ci sono file interminabili per poterla ammirare da vicino e venerarla come una vera reliquia e forse questo è l’aspetto più importante e fondamentale.

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