di Chiara Sacchetti
È il
lenzuolo più famoso e importante per la Cristianità, una reliquia che non ha eguali
e paragoni. Per chi crede è la stoffa con la quale sarebbe stato avvolto il
corpo di Gesù dopo la sua morte, e tutto ciò che resterebbe della sua
resurrezione, quando la domenica successiva le tre Marie sarebbero andate per preparare
il suo corpo, scoprendo invece il sepolcro vuoto.
Sulla
stoffa, impresso, dipinto o forse chissà in che modo, sarebbe rappresentato un
uomo morto crocifisso, con una corona di spine sulla testa e la ferita sul
costato, proprio come ci raccontano le Sacre Scritture nella vita di Gesù
Cristo.
Ma è veramente un segno tangibile dei Vangeli? E quale è la storia?
Non si hanno
notizie della Sindone fino al 20 giugno 1353 quando il cavaliere Goffredo di
Charny dona alla collegiata di una chiesa nella cittadina di Lirey, che lui
stesso ha fatto costruire, il lenzuolo che dice essere quello che avvolse il
corpo di Cristo. Siamo abbastanza certi della veridicità del racconto perché in
un medaglione votivo ritrovato nella Senna due secoli fa vengono rappresentati
il lenzuolo e assieme gli stemmi delle famiglie Charny e Vergy, ossia la sua
casata e quella della moglie Giovanna. L’uomo purtroppo non specifica come ne è
entrato in possesso, ma è da quel momento in poi che l’oggetto entra nella
storia.
Stemma con l'immagine della Sindone
Varie e
diverse sono le ipotesi che provano a spiegare l’assenza di menzioni di una
reliquia fondamentale come è la Sindone per la religione cristiana fino a quel
momento. Qualcuno sostiene che si potesse trattare del cosiddetto Mandylion, la
reliquia, oggi perduta, presente ad Edessa già dal 544 e portatrice di
moltissimi miracoli, che rappresentava però soltanto il volto di Gesù. Secondo
questa teoria infatti il Mandylion potrebbe essere stato la stessa Sindone,
ripiegata appositamente per mostrare soltanto il viso del Salvatore e che
proprio da questa raffigurazione si sarebbe poi diffusa l’immagine di Cristo
con la barba, fino a quel momento sconosciuta. Del cimelio si sarebbero perse
le tracce dal 1204, quando dopo che il generale bizantino Giovanni Curcua
qualche secolo prima l’aveva portata a Costantinopoli, la città subì un forte
assedio durante la Quarta Crociata.
Qualcun
altro sostiene invece che la Sacra Sindone poteva essere il cosiddetto Velo
della Veronica, di cui non sappiamo più niente dal 1608, anno della costruzione
della nuova Basilica di San Pietro: anche in questo caso, ci troviamo di fronte
al volto di Cristo su di un lenzuolo che secondo la leggenda avrebbe usato per
pulirsi dal sangue durante la salita al Monte Calvario. Difficile dirlo. Anche
perché per oltre tre secoli le due reliquie sarebbe vissute contemporaneamente
e quindi in questo caso inverosimilmente confuse.
Per tornare
alla storia certa della Sindone, passati anni dopo la donazione di Geoffrey fra
dispute per la sua esposizione e la proprietà, si arriva al 1415 quando il
conte Umberto de La Roche, marito di Margherita de Charny (nipote di Goffredo)
decide di prendere la reliquia e di tenerla nascosta con la scusa della guerra
fra la Borgogna e la Francia. A ostilità finita però la donna, rimasta nel
frattempo vedova, si rifiuta di riconsegnarla e parte per un viaggio in tutta
Europa per esporla, con un continuo tira e molla con i vescovi per la
restituzione. Alla fine nel 1453 Margherita decide di venderla ai Duchi di
Savoia che la terranno fino al 1983 quando morendo Umberto II di Savoia,
l’ultimo re d’Italia, la Sindone viene donata al Papa, il quale dispone che
resti a Torino e nomina custode della reliquia l’arcivescovo della città.
Sacro Monte di Varallo, Gesù deposto nella Sindone
Ai primi del
1500 i Savoia a Chambery decidono di costruire una cappella per ospitare la
preziosa reliquia ma il luogo senza alcuna ragione apparente prende fuoco: il
reliquiario d’argento è già avvolto dalle fiamme quando l’oggetto viene salvato
e qualche goccia di argento cadendo sul lenzuolo lo rovina e costringe le suore
clarisse a ripararlo con pezzi di stoffa. Qualcuno sostiene anche viste alcune
bruciature circolari che durante le esposizioni precedenti la reliquia sarebbe
stata scottata dalle candele poste vicine per far luce.
Con il
trasferimento della capitale del ducato a Torino i Savoia portano con sé la Sindone
dove resterà, seppur con qualche parentesi, fino ai giorni nostri, non senza
numerosi nuovi incidenti. Quello più fortunoso è dei tempi recenti: nella notte
fra l’11 e il 12 aprile 1997 la cappella Guarini che la custodiva in una teca va a fuoco, probabilmente a causa
dei lavori che si stavano svolgendo. Miracolosamente anche questa volta,
qualche giorno prima la reliquia era stata spostata proprio a causa delle
operazioni di restauro e resta dunque illesa. Per precauzione venne comunque
tolta dalla teca stessa e messa in salvo. Gli accertamenti successivi
confermarono che la reliquia era intatta ma che se fosse invece stata nella
cappella, (che durante l’incendio sarebbe arrivata alla terribile temperatura
di 1000 gradi), sarebbe sicuramente andata perduta.
Cappella Guarini, dove è conservata la Sindone in un'antica fotografia
Ma il
problema cruciale della Sindone è se si tratta o meno di un falso. La Chiesa in
tempi recenti ha preferito glissare su tutta la questione, alcuni Papi hanno
espresso pareri personali al riguardo ma non esiste ad oggi una posizione
ufficiale. Di certo è che fin da principio se lo sono chiesti anche coloro che
ne sono venuti in possesso dopo la donazione di Goffredo. Già pochi anni dopo, quando i canonici di
Lirey decisero di esibire la reliquia, il vescovo di Troyes ne vietò
l’ostensione ritenendola un falso, mentre l’antipapa Clemente VII in ben
quattro bolle ne permise invece l’esposizione, ma come una pictura seu tabula, ossia un dipinto.
Per qualche
secolo l’attenzione sulla Sindone viene meno, almeno fino alla fine
dell’Ottocento quando Secondo Pia, dopo aver chiesto il permesso al re,
fotografa la reliquia: la scoperta e la sorpresa arrivarono dopo lo sviluppo.
La fotografia positiva mostrava in realtà il suo negativo, mentre quest’ultimo
a sua volta era il suo positivo, come se la stessa Sindone fosse essa
stessa una fotografia. Ovvio e scontato
che la scoperta riportò nuovamente l’attenzione su quella preziosa quanto
enigmatica reliquia. Pochi anni dopo, convinti di una manomissione della foto, altri
scettici decidono di fotografare nuovamente la Sindone. Ma allo sviluppo il
risultato conferma quello precedente. La Sindone è in realtà un negativo,
mentre quest’ultimo è un positivo.
Il Negativo e il Positivo della fotografia della Sindone
Sulla
reliquia iniziano così indagini e studi. Vengono prelevati campioni e viene analizzata
nei minimi dettagli. Uno dei primi fu l’esame al cosiddetto C14, (Carbonio14)
importantissimo per la datazione degli oggetti, che colloca il lenzuolo fra il
1260 e il 1390, un arco di tempo questo che riporta agli anni della donazione
di Goffredo ai canonici di Lirey, e prima attestazione ufficiale della sua
esistenza. Studi recenti, che hanno ripreso i dati conclusivi, hanno però messo
in evidenza come i campioni presi in considerazione erano misti e quindi non
valutabili: quasi certamente infatti si trattava di quella parte di tessuti
rammendati nel 1500 a seguito del grave incidente che la Sindone subì durante
l’incendio della cappella.
Anche
l’esame delle tracce ematiche non ha mai dato esiti certi. I primi risultati
dimostrarono che le macchie che si credevano di sangue in realtà erano
costituite da ocra rossa, cinabro e alzarina, tutti coloranti usati nel periodo
medievale. Successivi test invece hanno dato esisti opposti: le tracce
ritrovate erano formate esclusivamente da emoglobina, albumina e bilirubina e
le macchie analizzate si scioglievano in un composto di enzimi, cosa che
confermerebbe essere composte da sostanze proteiche e non da pigmenti minerali.
Anche il
tipo di tessuto e il modo con cui sarebbe stato usato non combaciano con quelli
tipici dell’epoca di Gesù. «Una sindone ritrovata ad Akeldamà
(analizzata al carbonio 14, e datata 50 a.C./70 d.C.) mostra molte differenze
rispetto a quella di Torino: le braccia distese ai lati; collo, polsi e
caviglie fermati con appositi bendaggi. Il tessuto era di lana, la struttura
1:1 (la sindone di Torino è a spina di pesce 3:1), la trama è a S (quella di
Torino è a Z)».
Difficile
dire se la Sindone sia o meno vera nel senso cristiano del termine e se sia
quindi stata davvero il lenzuolo con cui è stato avvolto il corpo di Cristo
dopo la crocifissione. Le analisi svolte soprattutto in questi ultimi due
secoli hanno dato esiti differenti e spesso sono state confutate. Certo è che
ad ogni ostensione ci sono file interminabili per poterla ammirare da vicino e
venerarla come una vera reliquia e forse questo è l’aspetto più importante e
fondamentale.
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