lunedì 23 novembre 2020

La repressione della stregoneria. Il Tribunale dell'Inquisizione

di Chiara Sacchetti     

È il tribunale ecclesiastico più conosciuto, sorto, (seppur non con questo appellativo), agli inizi del XII secolo per volere di papa Gregorio IX che organizzò una nuova e più forte repressione contro gli eretici, nominando suoi delegati “inquisitori”, scelti prima fra i Domenicani, poi a partire dal 1245, con Innocenzo III, anche fra i Frati Minori. La struttura di questa potentissima istituzione si evolse nel corso dei secoli, facendo restare però immutato il suo obiettivo, ossia quello di reprimere e riportare sulla retta via “cristiana” coloro che con varie motivazioni ne uscivano. Papa Paolo III con la bolla “Licet ab initio” del 21 luglio 1542 istituì la Sacra congregatio Romanae et universalis inquisitionis seu Sacti uffici, con la quale nominò una commissione centrale composta da sei cardinali inquisitori, specialisti in materia di fede e con giurisdizione in tutto il mondo cristiano; dal 1908, anche se non si occupa più di stregoneria ed eresia, si chiama Congregazione del Santo Uffizio.

Stemma del Tribunale dell'Inquisizione

In realtà la lotta a coloro che non seguivano i precetti della Chiesa Cattolica, e anzi ne abiuravano le idee e i rituali, era sempre stata presente nell’organizzazione ecclesiastica, ma a partire dal XII secolo, con il proliferarsi e il diffondersi soprattutto dell’eresia catara, il problema e i rischi per la Chiesa stessa si facevano sempre più possibili e concreti tanto che i mezzi esistenti risultavano insufficienti. Quello dei Catari, infatti, era un movimento sorto durante il Basso Medioevo, nella Francia meridionale che in pochissimo tempo allargò le sue braccia in buona parte d’Europa, andando a minare la solidità dell’istituzione ecclesiastica stessa: si trattava di una dottrina dualistica, basata sull’antitesi (ricavata da alcuni passi del Vangelo in cui Gesù sottolineava l’opposizione del suo Regno celeste con il Regno di questo mondo) della materia con lo spirito, la prima corruttibile e diabolica, il secondo, invece,  come unico vero mezzo per arrivare a Dio. Ma quello che più di tutto andava a minare l’integrità e la solidità e che quindi era un problema reale riguardava i seguaci di questa dottrina,  che durante le loro prediche, andavano a denunciare la corruzione e gli usi “libertini”  proprio della Chiesa portando con sé e convincendo numerosi seguaci . È ben evidente e ovvio che quest’ultimo aspetto era quello più sentito e anche quello considerato più preoccupante per la Chiesa, non solo perché minacciava la purezza e la sicurezza che quest’istituzione si era creata durante i secoli, ma perché rischiava di perdere anche numericamente fedeli e adepti. Quello che ne risultò fu la creazione di una speciale forma di controllo e conseguente annientamento, volta a combattere coloro che non seguivano i dettami cattolici e anzi ne criticavano i comportamenti. Essi non erano subordinati  a tali voleri cristiani e dopo attenti esami e considerazioni, venne così a crearsi il Tribunale dell’Inquisizione che nei secoli successivi prese sempre più forma e organizzazione, ma anche subendo numerose e sostanziali modifiche.

Ma cosa presupponeva questa nuova forma di repressione e controllo? Il Papa, secondo le nuove leggi, aveva la facoltà di nominare suoi delegati particolari da mandare a controllare in luoghi prestabiliti dove “eventualmente” instituire dei processi contro le eresie e contro coloro che praticavano arti “diaboliche”: gli inquisitori, in altre parole, erano giudici straordinari la cui competenza era esclusivamente sull’haeretica pravitas, che si dovevano affiancare (e non sostituire) a quelli ordinari già presenti e il loro potere giurisdizionale dipendeva esclusivamente dal Pontefice su sua specifica delega.

Appena giunti nel luogo in cui dovevano esercitare il loro potere, gli inquisitori esibivano la lettera di delega sulla quale si indicavano gli obblighi che il Signore del luogo aveva per concorrere all’azione del delegato, fornendo in contemporanea il suo appoggio e la sua protezione. Subito dopo l’inquisitore nominava la sua “corte”, costituita da un vicario, alcuni commissari, probiviri, ufficiali, subalterni (in parte forniti dal signore stesso), guardiani della prigione e notai, mentre al suo fianco durante i processi sedeva il vescovo, o in sua assenza, un suo delegato.

Goya, Scene dall'Inquisizione

Al momento del suo arrivo venivano emanati due editti. Il primo di fede, con cui veniva imposto a tutti di denunciare gli eretici e gli eventuali complici; l’altro di grazia, ovvero quel periodo, di solito 15-30 giorni al massimo, durante il quale l’eretico che si fosse presentato spontaneamente, avrebbe ottenuto il perdono, mentre l’Inquisitore stesso procedeva d’ufficio verso coloro i quali erano stati citati per pubblica fama, oppure nominati durante altre testimonianze, e per questo erano chiamati a comparire davanti a lui.

A testimoniare erano ammessi altri eretici, familiari, anche di primo grado fra di loro, l’età minima era 14 anni per gli uomini e 12 per le femmine: l’imputato era informato delle accuse e delle deposizioni contro di lui ma non poteva difendersi in un confronto diretto con questi,  spesso non sapeva  nemmeno i nomi ma al contrario era lui che doveva dare quelli dei suoi compagni; non aveva un avvocato ma poteva produrre testimoni a discarico.

Il processo si sviluppava alla stessa maniera di quelli attuali, non fosse stato per l’uso legittimato della tortura, metodo assai discutibile ma sicuramente efficace con la quale riuscire ad avere la confessione del compimento di quel reato. Autorizzata definitivamente da papa Innocenzo IV con la bolla Ad extirpanda del 1252, e confermata poi sia da papa Alessandro IV (1259) che da papa Clemente V (1265), la tortura aveva numerose alternative, dalla ruota su cui veniva posto il corpo dell’imputato e con una serie di ingranaggi tirato fino alla rottura delle giunture, al  “tratto di corda”, che prevedeva la legatura per i polsi posti dietro la schiena e il tiraggio del corpo, a cui spesso venivano legati dei pesi. Se certamente erano metodi assai forti e sicuramente dolorosi, fa  molto effetto pensare che nonostante la loro atrocità, l’ordinamento dell’uso di questo sistema, doveva avvenire scongiurando però il pericolo di distruzione degli organi interni e la fuoriuscita di sangue e quindi la morte, a dimostrazione proprio dell’importanza di questo mezzo per ottenere ciò che era veramente importante, ovvero l’ammissione del fatto compiuto. Dopo di che si procedeva però ad una nuova confessione, questa volta “volontaria”, a conferma di quanto era stato detto prima ma in situazioni di procedure di normalità: di certo comunque il rito non avveniva una sola volta, anche perché spesso i processi duravano qualche mese e per questo gli stessi interrogatori erano riproposti, non solo per una continua “battaglia” fra Inquisitore e imputato che diceva di aver confessato solo per il dolore, ma anche  al fine di avere un maggior numero di informazioni possibili, non ultimi i nomi di altri probabili eretici.

Jean_Paul Laurens, Il papa e l'inquisitore, 1882, Museo delle Belle Arti, Bordeaux

In ogni caso una volta terminato il processo veniva emessa la sentenza. Per fare ciò l’Inquisitore era tenuto a consultarsi con un certo numero di probiviri (che avevano assistito agli interrogatori o comunque avevano letto gli atti processuali) che si pronunciavano sulla questione e sulla pena da applicare. Infine si confrontava con il Vescovo sul giudizio: la sentenza era letta pubblicamente in una cerimonia chiamata “servo generalis (autodafé)”, così come l’eventuale condanna sul rogo.

In questo caso la pena del rogo veniva eseguita in pubblico, su un palco con una pira di legno: famosissimi sono quelli di Giovanna d'Arco, la pulzella d'Orleans, e quella "fiorentina" del Savonarola, facile da ricordare per i numerosi quadri che raffigurano il momento, in piazza Signoria a Firenze, dove adesso, seppur non proprio nel punto esatto, è stata posta una lapide a terra in ricordo di quell'evento.

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