lunedì 16 novembre 2020

Cecco d'Ascoli

di Chiara Sacchetti

Francesco Stabili di Simeone, più noto come Cecco d'Ascoli, nacque a Ancarano nel 1269 (alcuni studiosi collocano la sua nascita invece nel 1259, ma come spesso accade per quest'epoca è difficile poter dare una giusta notizia in mancanza di fonti certe). La sua giovinezza fu contraddistinta dallo studio e dalle sue eccezionali capacità, tutti nel paese natio lo consideravano un negromante per le sue virtù nello scrivere poesie, impossibili per la sua età se non grazie all'intercessione di qualche essere superiore o potere soprannaturale. Intorno ai diciotto anni Cecco entrò nel Monastero di Santa Croce ad Ascoli Piceno, di origine templare, probabilmente scelta importantissima per la sua successiva formazione di filosofo, astrologo e alchimista.

Francesco Stabili di Simeone
Cecco d'Ascoli

In pochissimi anni la sua fama crebbe a tal punto da arrivare a papa Giovanni XXII che lo volle con sé ad Avignone come medico personale, ma qui, dopo aver dimostrato quanto sapeva e la sua bravura come terapeuta, si palesarono da parte di alcuni suoi “colleghi” ira ed invidia per i suoi successi  che gli fecero lasciare purtroppo presto l'importante compito. Cecco decise così di lasciare la sede pontificia e se ne andò, in un primo momento a Firenze, dove conobbe Dante. Fu un incontro non pacifico, fatto di incomprensioni ma molto stimolante, costellato di dibattiti di natura letteraria e spirituale. Passata alle cronache del periodo fu la loro discussione su cosa prevalga di più, se l'istinto oppure l'educazione: si racconta che Dante, per dimostrare che la seconda fosse più forte della prima, abbia dato ad un gatto un candelabro acceso da tenere con le zampe, ma all'arrivo di Cecco con un topolino, l'animale avrebbe mollato tutto per inseguire la piccola bestiola. In realtà la diatriba con il Sommo Poeta era certamente più profonda  e diretta, tanto che Cecco lo accusava di non essere mai stato veramente né in Paradiso con la sua Beatrice, né tantomeno all'Inferno: il suo corpo, secondo l'opinione dell'alchimista, non poté mai divinizzarsi e fu semmai  la sua poca fede a portarlo veramente all'Inferno.

Purtroppo anche a Firenze Cecco ritrovò la stessa difficile situazione di Avignone, con Dino del Garbo, anch'egli medico come lui, che non tollerava di essere stato sopraffatto nel suo campo per la corsa alla corte pontificia così l’uomo si trasferì a Bologna.

Pagina de L'Acerba

Qui trovò un ambiente completamente opposto, adatto ai suoi studi e alla sua maturazione intellettuale e soprattutto dove non temeva di manifestare le proprie opinioni astrologiche: a quel tempo la "Dotta" era il centro culturale più importante e la sua università vantava personaggi illustri nel campo dell'astrologia e della scienza, come Guido Bonatti, viaggiatore, consulente delle maggiori autorità politiche dell'epoca e autore del famoso Tractatus de Astronomia, e Alcabizio con il suo De principis astrologiae. Nel 1320 ottenne la sua prima lettura per gli studenti di medicina con il commento di Ippocrate e della Logica di Aristotele: sarà il primo passo verso una luminosa carriera che gli valse nel 1326 la cattedra di ordinario di astrologia e per i commenti all'Almagesto di Tolomeo.

Ma di nuovo seppure lontano entrò in scena Dino del Garbo che lo accusò davanti all'Inquisitore della provincia di Lombardia, frate Lamberto, di aver affermato, nei Commentari alla Sfera, l'esistenza di spiriti maligni e la loro possibile invocazione per mezzo d'incanti. Data la difficile condizione nello stesso anno Cecco accettò l'incarico come astrologo del Duca di Calabria a Firenze, ma l'astuzia dello suo acerrimo nemico assieme a quella del fratello, non gli dette tregua essi riuscirono infatti a mettergli contro lo stesso Duca Cosimo grazie all'intercessione del vescovo di Anversa, e quindi anche tutta la città. In realtà qualche cronaca o forse leggenda, narra che Cecco, chiamato a prevedere la vita della figlia del Duca, Giovanna, avesse predetto alla bambina che "sarebbe vissuta della sua onestà", oroscopo che non piacque alla famiglia ducale ma che si sarebbe rivelato esatto dato che la donna avrebbe avuto poi tre mariti e, si dice, anche numerosi amanti.

Una mattina di luglio del 1327 Cecco venne arrestato con l'accusa di eresia e incarcerato: i capi d'imputazione riguardavano l'aver insegnato l'opinione e gli scritti di Ermete Trismegisto, quello di aver distrutto, con la sua credenza nelle stelle e nei loro influssi sulla vita di ognuno, la libertà di ciascun uomo, e quindi il libero arbitrio che Dio avrebbe lasciato a tutti noi, oltre a praticare la negromanzia.

Dopo tre mesi di processo da parte di una commissione (di cui faceva parte anche Francesco da Barberino, autore dei Documenti d'Amore), il frate inquisitore R. Frate Accursio dell'ordine francescano, anche in virtù della precedente inchiesta, condannò Cecco al rogo come eretico.

Il 16 settembre, il giorno dopo quella della sentenza, Cecco fu bruciato sul sagrato della chiesa di Santa Croce a Firenze. La leggenda racconta che nonostante il momento, Francesco fosse abbastanza tranquillo, sicuro di una profezia che lo voleva morto solo fra l'Africa e i Fiori; quando però il verdetto cominciava ad avvicinarsi e tutto cominciava a diventare realtà, si dice che avrebbe chiesto spiegazioni: qualcuno tra il pubblico che stava a guardare, gli spiegò che dietro a lui, oltre la chiesa, c'era un fiume dal nome Africo e che Firenze, dal nome, è chiamata proprio la città del Fiore. Arreso alla sua sorte, Cecco confermò con queste parole tutto ciò che aveva fatto in vita «L'ho detto. L'ho insegnato. Lo credo» e andò incontro al suo destino.

Firenze, Basilica di Santa Croce, Sagrato

Il mito ci racconta che tutto il suo sapere avesse in realtà origini oscure. Una sera, mentre si trovava in una osteria, sentì due uomini che parlavano di un tesoro dentro ad una buca molto profonda e nessuno dei due si voleva calare a prenderlo. Cecco si avvicinò loro, chiedendo spiegazioni e offrendosi volontario per scendere. Una volta giù con un po' di luce vide un pentolone colmo di monete d'oro ma una volta legato ad una corda e fatto tirare su: i due uomini, (ottenuto quello ciò che volevano), lo lasciarono lì. Con la poca luce che gli era rimasta Cecco cominciò a cercare un'uscita ma nel suo perlustrare vide in un anfratto un "libro magico", il Libro del Comando, fatto unicamente di pagine non scritte, grazie al quale però riuscì a liberarsi e uscire, da cui avrebbe avuto sì tutto il suo sapere ma che gli avrebbe anche predetto la sua infausta fine.

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