di Chiara Sacchetti
Il termine
“cataro” viene dal greco καθαρός che significa «puro», appellativo con cui si
definirono i primi seguaci del vescovo Novaziano che si elesse papa nel 251;
alcuni storici invece sostengono che il termine derivi dalla parola greca
“katha” ossia spurgo, poiché «trasudano tutti i loro vizi» e fu proposta
per la prima volta dal teologo Alano di Lilla.
Questa
corrente religiosa si diffuse nel Basso Medioevo, intorno all’XII secolo, nella
Francia meridionale, probabilmente derivata da altre manichee, pauliciane e
bogomile che attraverso i pellegrini e i crociati che tornavano in Europa o l’Impero
Bizantino e i Balcani erano giunte fino in Francia.
A seguito
della Riforma ecclesiastica di Gregorio VII con cui si cercava di contrastare i
numerosi vizi presenti nella Chiesa e la cosiddetta “Lotta per le investiture”,
con la quale il Papa di fatto accresceva il suo potere e la sua posizione a
discapito dell’ingerenza dell’impero per la sua elezione, si contrapposero due
correnti. Se da una parte c’era un folto gruppo d’accordo con questo
rafforzamento, dall’altro nacque una nutrita schiera di coloro i quali mal
vedevano questa situazione e si richiamavano ai primordiali principi di purezza
e povertà evangelica come unica via per la redenzione e il Paradiso. Fra questi
i Catari che attraverso la predicazione mettevano in luce agli occhi di tutti i
fedeli le verità di corruzioni e vizi che da secoli esistevano e degradavano