di Chiara
Sacchetti
Nell’Italia del Quattrocento l’Umanesimo e la sua riscoperta
dei classici hanno dato vita a riletture, traduzioni e discussioni su numerose
opere filosofiche e letterarie. Questa spinta ha avuto il pregio e merito di riconsegnare
alla letteratura testi antichi e ricchi di temi profondi e che spesso celavano
significati e simboli difficili da ritrovare e comprendere per un occhio
inesperto. Allo stesso tempo essi hanno anche influenzato
e ispirato nuove opere che ci sono rimaste e sono state consegnate alla storia.
Fra queste anche il trattato di cui stiamo per parlare e che ancora oggi resta
un’opera di difficilissima comprensione nel suo vero e intrinseco significato e
lettura.
L’Hypnerotomachia
Poliphili è un testo scritto nel 1467 e pubblicato alla fine del
Quattrocento dallo stampatore veneziano Aldo Manunzio, uno dei pochi editori dell’epoca
capace di numerose innovazioni come il carattere corsivo e il formato ottavo,
l’antenato della nostra edizione tascabile.
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L'incunabolo del Trattato, originale del 1499 |
L’autore di questo trattato resta tuttora un mistero e
numerose sono le ipotesi che lo riguardano. Secondo alcuni studiosi sarebbe
opera dello stesso Manunzio, mentre per altri sarebbe mano del celebre
architetto e religioso Leon Battista Alberti, vista la presenza di numerose
descrizioni minuziose delle architetture. Altri vedono in Giovanni Pico della
Mirandola con le molteplici citazioni uno degli autori e infine per altri
ancora Lorenzo de’ Medici, figlio di Piero
il Gottoso.
Una tesi a sé, decisamente piuttosto fantasiosa, vuole invece
che ad avere scritto l’opera sia stato un certo Francesco Colonna, un acrostico
dedotto dalle prime lettere di ciascun capitolo del libro che reciterebbe così “POLIAM
FRATER FRANCISCVS COLVMNA PERAMAVIT” (frate Francesco Colonna amò intensamente
Polia). Alcune ricerche hanno identificato in questa figura un signore e
principe di Palestrina consigliere spirituale della corte di papa Alessandro VI
e forse dal 1484 membro “frater” dell’Accademia di Pomponio Leto. Altri studi
invece affermano che Francesco fosse un frate domenicano del convento di
Venezia dei Santi Giovanni e Paolo.
Fanno da cornice e arricchiscono l’opera 170 xilografie che
ritraggono le scene e le ambientazioni descritte, di ispirazione classica, con
accurati particolari delle architetture e dei personaggi incontrati dal
protagonista, tutte realizzate in modo scrupoloso e forse opera addirittura di
Andrea Mantegna.
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Le xilografie attribuite al Mantegna |
In ogni caso il trattato è un’opera allegorica, scritta in
una lingua mista di latino e italiano, con parole di origine greca, ebraica e
perfino araba, in cui si racconta del viaggio onirico che compie il
protagonista alla ricerca della donna amata. Il tema potrebbe far collocare
l’opera fra la letteratura cavalleresca tipica anche dell’epoca, ma una lettura
più attenta sovverte e trasforma la storia per collocarla in quel gruppo di
testi ricchi di simbologia ed esoterismo.
Polifilo (dal greco polis=molte –moltitudine- e filos=amico) ha smarrito la sua amata Polia
(dal greco “molte cose” o “moltitudine”) che si è allontanata da lui
apparentemente senza motivo e per questo ha perso il sonno. Comincia così per
l’uomo un viaggio alla sua ricerca, trasportato da un canto melodioso egli seguendolo si ritrova in una fitta foresta
piena di alberi, draghi, creature mostruose e mitologiche, bellissime fanciulle
e fantastiche architetture dalle quali fugge e si riaddormenta.
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Xilografia con le creature mostruose che incontra Poliphilo nel suo primo sogno |
Entriamo così nel suo secondo sogno, dentro al primo, dove appaiono due ninfe che lo trasportano
dalla loro regina la quale gli chiede di dichiarare il suo amore per Polia,
cosa che lui fa e viene così condotto di fronte a tre porte, davanti alle quali
lui decide di aprire la terza da cui appare la sua amata.
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Xilografia con Poliphilo che si inginocchia alla regina Eleuterilda |
Polifilo e Polia intraprendono così un viaggio durante il quale passano per cinque processioni trionfali che celebrano la loro unione e vengono trasportati all’isola greca di Citera da un’imbarcazione condotta da Cupido, per arrivare finalmente al tempio dove avverrà la loro cerimonia di fidanzamento.
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Xilografia con la barca di Cupido di Poliphilo e Polia |
La donna respinge però Polifilo, ma Cupido apparsole in sogno
la costringe a tornare con lui che nel frattempo era svenuto ai suoi piedi e
poi morto, e riportato in vita con un bacio dell’amata. Venere benedice il loro
amore e i due sono finalmente assieme, ma quando l’uomo sta per prendere la sua
amata fra le braccia, la donna si dissolve e lui si sveglia.
Il viaggio onirico di Polifilo diviene così un cammino di
iniziazione dell’uomo, spinto dall’amore verso Polia, un sentimento questo
inteso come platonico, che non ha nulla a che vedere con la realtà ma diviene
trascendentale, capace di muovere la conoscenza verso uno Spirito Assoluto, e
quindi unico mezzo per arrivare alla Vera Sapienza. Si può facilmente intuire
che il trattato, ricco fra l’altro di numerose citazioni e personaggi
mitologici, e quindi pagane, richiami altre opere famose, come la Divina Commedia di Dante e in generale
molti autori umanistici legati, secondo alcuni studi, alla setta dei Fedeli
d’Amore, dove la donna e l’amore verso essa, è l’unico strumento e veicolo per
compiere il proprio percorso iniziatico e raggiungere un nuovo livello di
coscienza. Alcuni studiosi rivedono in questa straordinaria opera le
Metamorfosi di Apuleio proprio per il
suo carattere onirico e iniziatico.
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Xilografia |
Interessante è, infine, la teoria esposta in un romanzo
relativamente recente, pubblicato nei primi anni del 2000, Il codice del Quattro (The
rule of Four) di Ian Caldwell e Dustin Thomason in cui gli autori arrivano
alla conclusione secondo cui il trattato debba contenere un messaggio cifrato
da ricercarsi non solo nel testo (come
di fatto qualcuno ha trovato ritenendo l’autore questo Francesco Colonna), ma
anche nelle xilografie. Non dico di più per non togliere la magia della lettura
del libro!
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