di Mario Pagni
L’argomento che stiamo per affrontare seppure a grandi linee
e in modo estremamente sommario è ed è stato all’apice dell’interesse di intere
generazioni di studiosi sia contemporanei che di tutti i popoli dell’antichità.
Le risposte più o meno convincenti ci sono state date da molte discipline
scientifiche ma anche filosofiche e soprattutto religiose. Perché siamo nati se
poi la nostra esistenza ha un termine oltre il quale non sappiamo e forse non
sapremo mai cosa effettivamente ci aspetta e se ci aspetta qualcosa? Negli
scritti precedenti abbiamo affrontato l’argomento del cosiddetto “corpo
astrale” e della sua possibile separazione da quello fisico con pratiche
attuabili a detta di molti anche in vita e in particolare durante certe fasi
notturne del sonno. Anima e corpo astrale potrebbero essere la stessa cosa?
Come già si vede sono più l’interrogativi delle risposte ma andiamo per ordine.
“La controversia tra i materialisti che negano l’esistenza e
la sopravvivenza di una parte “spirituale” dell’uomo dopo la morte fisica e gli
spiritualisti che invece sostengono l’esistenza di un’anima immortale è ben
lungi dall’essere risolta. Tuttavia attualmente la permanenza di una vita
cosciente fuori dal mondo materiale, anche se esclusivamente sul piano
energetico, viene considerata piuttosto una consapevolezza interiore dell’uomo
che non un semplice modo di sfuggire alla paura della morte”.
Tralasciando in questa sede e solo momentaneamente tutte le
valutazioni di tipo religioso che hanno risposte diverse molte plausibili ma
nessuna dimostrata, prenderemo invece in considerazione i dati scientifici più
recenti circa il seguito della morte fisica dell’uomo. Scienziati di indubbia
serietà e capacità che si sono occupati dell’argomento, hanno preso in esame
numerosi casi di soggetti che la medicina ha “riportato in vita” dopo che essi
hanno vissuto un breve intervallo di morte fisica. Per il medico il paziente
era morto ma il defunto in molte occasioni non si è sentito affatto tale, anzi
avrebbe sentito (da successive testimonianze dirette), le sue sofferenze
attenuarsi fino a svanire del tutto sostituite da uno stato di benessere e di
definitivo sollievo, oltre ad una manifesta pace interiore. In alcuni casi è
stato raccontato addirittura di aver percepito un ronzìo simile ad un suono
musicale. Al rientro nel mondo terreno se richiamato in vita da pratiche di
rianimazione efficaci, le testimonianze sono state di vario genere e a nostro
avviso anche i soggetti che ne sono stati interessati, descrivono l’esperienza
in modo diverso a seconda del proprio carattere ma anche del proprio bagaglio
culturale in essere. Non ultimo a livello di racconto, anche il tempo trascorso
per la mancata affluenza di ossigeno al cervello e i danni cerebrali ad esso associati anche se
nei migliori casi senza conseguenze.
Dal momento che ciascuno “vive la morte” proprio secondo la
propria cultura, (i cattolici parlano di musica angelica mentre i musulmani
fanno riferimento alla musica festosa che accompagna le danze nel paradiso di
Allah), il fenomeno sonoro resterebbe comunque un dato di fatto sia per gli atei che per i credenti. Appena
oltrepassata quella che chiameremo “soglia” fra mondo dei vivi e quello dei
defunti, la persona interessata secondo quanto riferito dalla maggior parte
degli studiosi, si sentirebbe come trascinata a gran velocità attraverso un
tunnel oscuro, dopodiché si ritroverebbe all’improvviso fuori dal corpo fisico
senza però allontanarsene troppo, anzi potrebbe scorgere il suo stesso corpo
come uno spettatore. Da qui a seconda della causa del decesso potrebbe
osservare i tentativi di rianimazione da parte dei medici, provando al contempo
una forte emozione nel vedere tutto ciò.
Così inizierebbe la vita dopo la vita, ma infinite sono le
variabili in merito se pure nelle migliaia di casi esaminati esisterebbero dei
comuni punti di contatto. Si dice che alcuni vivono solo più tardi l’episodio
del tunnel oscuro e in quasi tutti gli esempi, i “morti” avrebbero l’impressione
di girare vorticosamente “leggeri come foglie morte” e una luce piccolissima ma
sempre più vivida apparirebbe in fondo al lungo corridoio oscuro. Il dubbio che
permane però è per quanto tempo tutto questo può essere letto e interpretato da
un cervello ancora vivente e quanto invece apparterrebbe al passaggio già
avvenuto e quindi a carico di quella che può davvero essere considerata una
sorta di entità di tipo animico. I primi passi nell’altro mondo avverrebbero
con la stessa luce iniziale che aumenterebbe costantemente di intensità
accompagnata da una sensazione di indicibile dolcezza. Il defunto uscirebbe poi
dal tunnel e entrerebbe completamente nella “Luce” e proprio qui avverrebbero i
primi contatti con le persone care ma soprattutto con una entità (sempre la
stessa in tutti i casi esaminati), che lo accoglierebbe definitivamente nel
nuovo mondo.
“Improvvisamente appare all’anima una entità spirituale di
una specie sconosciuta, uno spirito di una calda tenerezza, vibrante di amore,
un essere di Luce. La sottopone ad una sorta di interrogatorio, non espresso
con parole, e invita l’anima a fare il bilancio della sua vita passata”
Solo allora la persona
defunta prenderebbe reale coscienza e consapevolezza del suo nuovo stato
cominciando fra l’altro a disporre di altre facoltà maggiori e diverse di
quelle possedute in vita, come ad esempio essere in grado di leggere nel
pensiero di coloro che stanno ancora intorno al
suo corpo. Alcuni cardiologi della clinica’universitaria di Atlanta,
hanno studiato questo fenomeno notando in modo inequivocabile che i
sopravvissuti alla morte, hanno ricevuto durante il tempo di effettiva morte
clinica (o forse subito prima), delle indicazioni che potremo definire di tipo
parapsicologico su quanti erano i presenti leggendo anche nelle loro menti. Poi
l’anima si sarebbe allontanata verso una sorta di luminosa terra di nessuno
dalla quale non si è mai avuto testimonianza di ritorno alla vita se non in
casi compresi nella fenomenologia spiritica, come la presenza di ombre o
fantasmi richiamati fra i vivi, per un tetro bagaglio di compiti non ben
espletati o risolti durante la loro umana esistenza. Quello che abbiamo descritto riguarda
esclusivamente una casistica ben documentata di decesso clinico “momentaneo” e come
abbiamo già detto in precedenza, rimane costante il dubbio su tanti fattori in
gioco, quali la permanenza delle funzioni cerebrali a “cuore fermo” fino alla
totale mancanza di ossigeno, con persone richiamate in vita da massaggio
cardiaco o intervento del defibrillatore.
Il confine rimane tuttavia invalicato e forse
invalicabile almeno per il momento, fra ciò che sta da questa parte e
verosimilmente ciò che accadrebbe dall’altra nel proseguo del cosiddetto
cammino animico. Meglio pensare e magari sperare comunque che le ragioni per le
quali siamo stati messi al mondo, siano motivo sufficiente a dimostrare che il
tutto non può e non deve essere avvenuto solo per puro caso, ma per una serie
di misteriose quanto valide ragioni ancora da chiarire.
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