di Mario Pagni
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Abbazia di Glanstonbury |
Si dice spesso che l’archeologia studia i fatti e non le
ipotesi per supportare la storia che lavora sulle fonti scritte per dare un
fondamento reale e “materico” al nostro passato. Questa disciplina scientifica
ma creata su basi umanistiche, nel corso degli ultimi 50 anni ha subito una
notevole mutazione in termini di precisione e affidabilità dei dati che
provengono dalle aree di scavo. Recentemente l’indispensabile ausilio di scienze
quali la geometria descrittiva e la stessa informatica, hanno permesso la
restituzione puntuale di ciò che è stato prodotto, sia dal ritrovamento e
catalogazione dei reperti che dalla misurazione delle strutture rinvenute, in
modo più corretto e puntuale a livello di documentazione. Le difficoltà di
reperire dati reali però aumentano, quando si ha a che vedere con metastorie
che sfiorano e oltrepassano anche la leggenda, come nel caso delle vicende
legate a re Artù, ai suoi Cavalieri della Tavola Rotonda e persino al Santo
Graal. Lo scenario che si configura e il rischio che si corre è quello non solo
della libera interpretazione della realtà storica, ma al contempo della
possibilità di proiettare i propri desideri e le specifiche esigenze di tipo
culturale, rendendo tutto più difficile e inesatto nelle conclusioni.
I fatti secondo le
fonti medievali
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La morte di re Artù |
Nel 1191 i monaci di Glastonbury asserirono di aver rinvenuto
nell’abbazia i sepolcri di Artù e Ginevra e a tal proposito furono scritte
minuziose relazioni da vari cronisti del tempo, fra questi Ralph of
Coggenshall, Girardus Cambrensis, Adam of Domerham. In particolare, secondo le
stesse cronache, i corpi di Artù e Ginevra sarebbero stati rinvenuti fra due
antiche piramidi incise con una croce di piombo recante l’iscrizione: “Hic lacet inclitus Rex Arturius cum
Weneweria uxore sua secunda, in
Insula Avallonis sepultus”. Purtroppo in seguito non solo non emersero
nuove tracce relative alla scoperta ma scomparve anche il luogo preciso del rinvenimento
e delle stesse salme. Tuttavia la connessione con la vicenda legata al ciclo
arturiano e con la stessa tradizione Graalica, fece si che l’abbazia, oggi
ridotta allo stato di rudere, diventasse una delle più ricche d’Inghilterra. Durante
gli inizi del XV secolo per ispirazione dell’abate Richard Bere, Glastonbury
divenne centro di venerazione di Giuseppe di Arimatea, che dopo la morte di
Gesù avrebbe portato il Graal fino alle isole britanniche. Molta l’iconografia
pittorica in merito al viaggio compiuto, ma nessuna certezza anche in questo
caso, relativa all’evento in questione.
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Interno dell'Abbazia |
Non molto tempo dopo i soldati di Enrico VIII assassinarono
l’ultimo abate, Richard Whyting e distrussero quasi del tutto l’edificio che
non fu più ricostruito. Trascorsero molti secoli di silenzio e vandalismi prima
che Glastonbury ritornasse in auge nel 1907, allorchè la chiesa anglicana
acquistò le rovine e decise anche di riprendere le ricerche relative alle
sepolture scomparse. Per tale funzione venne incaricato uno studioso di
architettura, Frederick Blight Bond che era anche (se pure all’insaputa di
tutti ) un grande studioso appassionato di occultismo. Egli ottenne
l’autorizzazione a procedere nel marzo del 1908 riuscendo a porre in luce ben
12 celle a pianta circolare, occupate a suo tempo dai monaci ed erette intorno
alla Cappella di San Giuseppe d’Arimatea datata intorno al II secolo d.C.
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Frederick Bling-Blong |
Qui si entra in questioni che vanno dallo stupefacente al
poco credibile, ma per dovere di cronaca riporteremo integralmente ciò che si
presume sia successo. Bond cercava in particolare le rovine di due cappelle,
quella denominata di re Edgar e la
Cappella di nostra Signora di Loreto, fatte costruire
entrambe dall’abate Bere ma che delle quali non rimaneva più minima traccia.
Dopo vari tentativi di scavo sul terreno e fra mille polemiche con il collega
William Caroe responsabile della conservazione degli edifici, Bond (si dice),
decise di chiedere aiuto nientemeno che agli spiriti dei monaci ormai defunti
dell’abbazia.
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Incoronazione di re Edgar riprodotta su una vetrata |
Lo fece coinvolgendo un amico medium (Alleyne Bartlett) che
si mise subito all’opera, invocando gli spiriti dei monaci scomparsi. Non
dimentichiamoci che in quegli anni andavano molto di moda le scuole esoterico–spiritiche
e non poco frequenti erano gli sconcertanti (se veri), risultati raggiunti in
termini di comunicazione con l’Al di là; oltretutto pare che sia Bond che
Bartlett facessero parte di una associazione dedita proprio a ricerche di tipo
medianico. Bartlett dopo alcune prove a vuoto riuscì a mettersi in contatto per
mezzo della Telescrittura, con entità che si definivano la “Compagnia di
Avalon”: la penna tenuta stretta nelle mani del medium, iniziò a muoversi
disegnando esattamente la planimetria dell’abbazia, con l’aggiunta anche delle
due famose cappelle mancanti. La piantina era firmata da “Guglielmus Monachus”,
inutile dire lo stupore di Bond dovuto al conseguente ritrovamento dei ruderi,
esattamente collocati sul luogo disegnato dal monaco defunto.
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Gli scavi archeologici |
I misteriosi spiriti fecero in seguito altre rivelazioni
consentendo a Bond altre rilevanti scoperte archeologiche, fra le quali lo
scheletro di un vecchio che teneva fra gli arti inferiori il proprio teschio.
L’uomo dall’analisi delle fonti scritte e proprio come dicevano gli spiriti,
risultò essere stato ferito in duello al tempo di Guglielmo il Conquistatore.
Fu nel 1918 che l’archeologo decise di rivelare finalmente all’opinione
pubblica, i risultati delle sue ricerche e delle conseguenti notevoli scoperte.
Ma invece che acquisire meriti e onori come egli stesso pensava, vennero
immediatamente ritirati a Bond i fondi necessari per il proseguo della campagna
di scavo e la sua opera fu ostacolata in ogni modo possibile fino al 1922,
quando fu anche sollevato dall’incarico di responsabile degli scavi a
Glanstonbury. Le ricerche non furono più riprese e della tomba di re Artù non
se ne seppe più nulla. Bond morì in povertà e dimenticato nel 1945, ma oggi sul
posto ci sono precise indicazioni se pure di tipo turistico, dei sepolcri rinvenuti
al tempo, ma nessuno può dire con certezza se il luogo e la tomba del tanto
discusso re e della sua consorte Ginevra, fosse veramente quello.
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La presunta sepoltura di re Artù con indicazione turistica a Glanstonbury |
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