lunedì 5 agosto 2019

Le origini storiche della stregoneria: gli Antichi Romani


di Chiara Sacchetti

Già ai tempi dell’Antica Roma esisteva questa strana e oscura presenza, anzi ve ne erano di due specie, simili e contrapposte: una era la strix, una donna trasformata in una sorta di uccello simile alla civetta, con gli occhi fissi, becco, rostri che nelle ore notturne andava alla ricerca di bambini per succhiare loro il sangue e quindi ucciderli.

John William Waterhouse, Il Cerchio Magico

E poi c’era la strega, quella vera, di cui numerosi e importanti autori dell’epoca e leggi promulgate ci raccontano. In ordine di tempo ricordiamo la Lex dei Decemviri delle dodici tavole in cui sono elencate pene per coloro che dicevano il Malum Carmen contro i raccolti (ovvero incantesimi per distruggere i raccolti) e di questa sappiamo che perfino un uomo, un certo Furio Crisimo, fu accusato di tale pratica: è Plinio il Vecchio a raccontarcelo nel Libro XXX della sua Storia Naturalis, dicendoci che il pover’uomo, un liberto, fu portato in giudizio dai suoi vicini perché il suo raccolto migliorava di anno in anno mentre il loro peggiorava a vista d’occhio. Durante il processo il poveretto si difese dicendo che tutto ciò non era altro che il frutto del duro lavoro (tante notti di lavoro, veglie e sudori) e di nessuna magia o incantesimo e i giudici gli cedettero tanto che fu dichiarato innocente.  E la Lex Cornelia de sicaris et veneficiis che proibiva le pratiche magiche, come l’avvelenamento e l’assassinio per stregoneria. Curiosa e assai “simpatica” (se si può dire) è l’origine di questo ordinamento che deve la sua nascita alla scoperta di alcune vedove matrone, colte in flagranza di reato mentre stavano preparando uno strano “intruglio” in un bollitore; chiesto loro di cosa si trattasse e cosa vi fosse dentro, rifiutarono di dare spiegazioni e per questo furono obbligate a berlo: morirono tutte nel giro di qualche ora!


Se Seneca ci racconta di una maga che sminuzza erbe medicinali, mescola uccelli sinistri e cuore di gufo, ma per avere la figura della strega che oggi conosciamo dobbiamo aspettare Orazio e Apuleio. Il primo, nelle sue due opere più importanti, le Satire e le Epodi, ci riferisce di Canidia e Sagana, due donne che si ritrovavano sull’Esquilino (il colle bonificato da Mecenate dove si trovava il cimitero plebeo) con dei pupazzi, uno di cera e l’altro di lana, sbranavano a morsi un agnello versandone il sangue in una fossa ed evocavano Ecate e Tesifone, facendo così comparire serpenti e cagne infernali, arrivando ad attentare anche alla vita del poeta stesso. Apuleio invece nelle Metamorfosi ci descrive il “laboratorio” della strega Panfilia, una soffitta aperta su quattro lati in cui si possono scorgere i suoi strumenti da lavoro, un teschio, libri con incisi caratteri sconosciuti, piante, erbe, profumi e incensi: Lucio, il protagonista della storia, si unge trasformandosi così in asino, e solo dopo molte peripezie, riuscirà a diventare un iniziato della dea Iside.

Bibliografia essenziale utilizzata

Laura Cherubini, Strix. La strega nella cultura romana, UTET, Milano, 2010

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