di Mario Pagni
(Ippocrate)
Ippocrate |
Durante il
medioevo e nel corso di tutto il periodo la medicina intesa come quella che
oggi potremo definire “ufficiale” fu esercitata in linea di massima da uomini.
Si diventava medici professionisti frequentando apposite scuole e a seguire le
prime vere università. Nel Duecento e
nel trecento erano celebri per tale corso di studi qui in Italia le Università di
Pisa, Padova, Firenze, Siena, Perugia, Roma, Napoli e soprattutto Bologna e
anche Salerno già fiorenti nell’XI secolo.
A Bologna il corso di medicina si basava su i testi obbligatori di Ippocrate (460 a.C.–370 a.C. circa), Galeno (130 d.C. circa–200 d.C. circa), Avicenna (970-1037 circa) e Averroe (1126-1198). Anche la Curia pontificia incoraggiò gli studi sulla medicina seppure riteniamo con i dovuti controlli previsti dallo stretto legame con la religione cristiana.
Galeno e Ippocrate a confronto sulla Sapienza medica |
Nell’Italia
dei Comuni i medici si organizzarono in corporazioni e dietro questo generale
slancio iniziale nacquero probabilmente molte forme di specializzazioni: medici
dell’università, chirurghi, cerusici e speziali. La separazione fra medici specialisti e chirurghi era piuttosto netta e
dobbiamo dire che anche oggi non si amano alla follia. Si trattava di una
professione di prestigio e redditizia ma di millantatori un po’ come oggi ve ne
erano parecchi. Anche l’abito che indossavano li distingueva: portavano
mantelli foderati di vaio (pelliccia morbida e pregiata di colore grigio) e un
berretto rosso. La diagnostica si basava
su scarsi ma ben mirati elementi fondamentali e ogni visita seguiva una sorta
di rituale piuttosto ripetitivo: osservazione autoptica dell’aspetto generale
del malato, esame del polso, delle orine, del sangue e persino dello sputo.
Anche i rimedi consigliati o imposti erano spesso simili, fra questi i salassi,
i bagni e le diete di ogni genere. La dietetica nel medioevo come terapia era
praticata con l’assunzione di erbe e radici ma anche di rimedi sia di origine
vegetale che animale.
Pietro Longhi, La bottega dello Speziale |
Con
l’accentuazione delle specializzazioni la preparazione dei farmaci spettò in
massima parte agli Speziali ma viste le cognizioni ancora piuttosto carenti
specialmente quelle anatomiche basilari del corpo umano (non era ancora
praticata la dissezione), l’efficacia delle cure era tutta da vedere come prova
l’ampia richiesta dei miracoli e l’uso frequente di preghiere alle varie figure
di Santi più o meno specializzate in tempi di epidemie e carestie.
Chiesa di Orsanmichele, Firenze l'Arte dei Medici e degli Speziali |
Curiosità
varie sull’argomento
I paramedici dell’epoca era spesso i
barbieri ai quali competevano salassi, estrazioni dentali, incisioni di
ascessi, applicazioni di mignatte per salassi, e cura di ferite semplici. I barbieri erano considerati
assieme a streghe e levatrici, i medici della povera gente e del contado più in
generale. Un polifarmaco assai diffuso era la Teriaca, il cui nome deriva dal
vocabolo greco therion usato per
indicare la vipera o altri animali velenosi in genere. Questo medicinale dotato
si dice anche di virtù magiche e capace di risolvere ogni tipo di male, fu
prescritto ininterrottamente dai medici per molti secoli almeno fino al XII. Almeno fino a quando nel 1233, con l’Editto
dell’imperatore Federico II di Svevia, noto come “L’Ordinanza Medicinale”, si
ebbe la netta separazione fra la professione medica e quella farmaceutica, con
la quale ai medici venne vietata la preparazione dei farmaci. Dal XIII
secolo infatti le preparazioni medicamentose furono affidate alla Corporazione
degli Aromatari e poi agli Speziali. Oltre la Teriaca erano usati i Troscisci
di vipera ovvero carne di vipera femmina non gravida catturata dopo il letargo
invernale e persino olio di Scorpione-. Non mancavano naturalmente pietre dure
portafortuna e anti–malocchio e persino il Sangue di Drago come si evince dagli
antichi trattati dell’epoca posseduti nei vari Spedali e nelle antiche farmacie
in albarelli e altri contenitori ceramici assai pregiati e spesso fregiati di cartigli che
raffiguravano proprio il “marchio di fabbrica” delle stesse farmacie.
Celeberrima in Toscana fu quella di Santa Fina nel comune turrito di San
Gimignano per la stupenda collezione ceramica e di vetri ancora oggi integra e
conservata in museo e a Firenze quella di Santa Maria Novella.
Frontespizio del primo catalogo originale della farmacia di Santa Fina, San Gimignano, SI |
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