giovedì 20 gennaio 2022

La Disciplina Etrusca alla base delle antiche credenze dei Romani

di Mario Pagni

Ormai da tempo gli studiosi sono concordi nel ritenere che l’unico vero esempio sostanziale di religiosità praticata dai Romani nel primo periodo di fondazione di Roma provenisse dagli Etruschi.

Come sappiamo infatti, dal punto di vista religioso la dottrina etrusca si presentava in forma di religione “rivelata”, e il complesso dei rituali divinatori, in seguito trasferiti proprio ai Romani, erano raccolti e tramandati nei libri sacri che costituivano la cosiddetta “disciplina etrusca”.

Quest’ultima nasce dalla leggenda di Tagete, figlio di Genio e nipote di Giove, “bambino-saggio” scaturito da una zolla di terra toccata dall'aratro di un contadino, destinato a insegnare all'intera Etruria tutta la disciplina che avrebbe abbracciato il sapere umano, ispirato direttamente dal sapere divino.

La leggenda racconta che un giorno Tarconte, (questo e il nome del contadino etrusco), mentre arava il suo podere accanto al fiume Marta, nel territorio di Tarquinia, volgendo lo sguardo al lavoro già eseguito si accorse che da un solco appena tracciato era venuto fuori un fanciullo che, come se fosse una cosa normalissima, cominciò a cantare. Alle grida spaventate di Tarconte accorsero un gran numero di persone, tra cui i sacerdoti etruschi (i lucumoni), ai quali il bambino disse di chiamarsi Tagete. Questi continuò a cantare versi contenenti insegnamenti e profezie sul popolo etrusco, che i sacerdoti sembra trascrissero parola per parola.

Tomba etrusca degli auguri sacerdoti e Tagete

È interessante notare che qui il racconto prima a carattere tradizionale, assume il senso di “ierofania simbolica”, che si fonda su un patrimonio di valori,  proprio come quello trasferito al popolo etrusco ma largamente orientato sulla sfera agraria. Il “principio generatore” coincide, infatti, con l’atto agricolo, inteso non solo come semplice aratura, ma anche come rituale impiegato per fondare le nuove città. Gli scritti e appunti presi dagli antichi sacerdoti etruschi furono raccolti in veri e propri testi sacri di riferimento fra questi abbiamo:

I Libri Haruspicini, svelati proprio da Tagete che trattavano l’arte della divinazione attraverso vari metodi, tra i quali la consultazione delle viscere degli animali. Un valido esempio di ciò è costituito dal cosiddetto “Fegato di Piacenza”, reperto archeologico che, con le sue iscrizioni, può essere assimilato ad una sorta di mappa, che guidava il sacerdote etrusco che osservava la superficie dell'organo animale alla ricerca dei segnali divini. Questo stesso schema è analogo a quello di reperti affini babilonesi, e per alcuni studiosi è riconoscibile nella stessa pianta della città di Roma.

I Libri Fulguratores invece, il cui contenuto era stato manifestato dalla ninfa Vegoe, riguardavano l’interpretazione dei fulmini posti in relazione al settore di volta celeste dalla quale si riteneva provenissero. Infine abbiamo i Libri Rituales, svelati anch'essi da una ninfa, Vegoe o Begoe, dove troviamo ancora la suddivisione della volta celeste, la spiegazione dell’agrimensura, dei riti e dei criteri per la consacrazione dei templi, oltre ad importanti nozioni sulla fondazione delle città con la pianta disposta a scacchiera e l’orientamento stabilito dai sacerdoti o augures.

Il cielo degli Etruschi suddiviso in parti diverse

La genesi di questa “disciplina etrusca” pare presente anche in Mesopotamia, e sembra avere un’origine caldea, con influenze greche. Auspici celesti, tratti per esempio dall’aspetto della Luna, sono attestati in Mesopotamia fin dal secondo millennio a.C., dove si osservava abitualmente il cielo proprio per trarne presagi per il futuro.

Secondo Adriano Maggiani Funzionario archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana “non era soltanto una tecnica per formulare profezie e previsioni, era un insieme di nozioni e precetti, raccolti e ordinati secondo precisi criteri che potevano spiegare tutta la realtà in quanto sistema rigorosamente strutturato di leggi e norme dipendenti coerentemente da un complesso di dogmi, frutto di rivelazione divina”, quella del fanciullo Tagete o della ninfa Vegoe.

Le tecniche di divinazione etrusche erano quindi  destinate a svolgere anche a Roma (come inizialmente accennato) un’importante funzione, fin dalla sua fondazione, se è vero che alla fine del I sec. a.C. lo stesso Augusto, secondo le parole di Servio, fece porre i libri sacri degli Etruschi nel tempio di Apollo Palatino, assicurandone in tal modo la conservazione il prestigio e il controllo statale

Gli Etruschi erano un popolo religiosissimo e la classe sacerdotale ne costituiva la guida spirituale ma questo si rifletteva anche in attività pratiche, quali ad esempio la definizione dei calendari e la scansione temporale delle attività agricole.

Le caratteristiche e la struttura dei riti della disciplina etrusca sono pervenute a noi attraverso gli scritti di Cicerone, Livio, Seneca ed altri scrittori latini o mediante il rinvenimento di straordinari documenti, come la “Mummia di Zagabria” o il prima citato “Fegato di Piacenza”.

Fegato di Piacenza

La disciplina augurale si celebrava con il caratteristico lituo, un bastone arcuato all’estremità superiore, nelle due forme a semicerchio e a spirale, di cui si servivano proprio gli auguri per delimitare la zona “inaugurata” , cioè consacrata e del quale abbiamo numerose testimonianze sia scritte  da parte degli annalisti, sia figurate in bronzetti votivi o steli funerarie. Plutarco, nella Vita di Camillo (32, 6-8) definisce il lituo come uno degli oggetti sacri e intoccabili, legato proprio alle origini di Roma, introdottovi dall’Etruria e consacrato a Roma ogni 23 di marzo, insieme con le trombe di guerra.

L’origine di questo strumento ci porta in Oriente, come la stessa disciplina augurale, poiché lo troviamo raffigurato nei monumenti Ittiti, ed esso era certamente una della insegne del potere degli antichi re Caldei e dei sovrani dell’Asia Minore.

Statuetta in bronzo di Augure con il Lituo

Il lituo era però anche uno strumento astronomico, come si evince da un passo del De Verborum Significatione (351) di Sesto Pompeo Festo, nel quale si associa la divinazione del volo degli uccelli alle stelle: "Stellam significare ait Ateius Capito laetum et prosperum, auctoritamen secutus P. Servili auguris [stellam], quae ex lamella aerea adsimilis stellae locis inauguratis infigatur." ("Ateio Capito dice che, secondo l'autorità dell'augure P. Servilio, l'indicare la stella è favorevole e apporta buona fortuna, per cui una lamina bronzea simile a una stella è infissa nei luoghi inaugurati"). 

Si potrebbe supporre infine che all'origine del lituo ci fosse l'usanza dei pastori di misurare le distanze tra le stelle, ponendo come regolo la forma circolare del loro bastone e, in questo modo, individuare il polo attorno al quale ruotavano le costellazioni generatrici delle quali abbiamo già ampiamente trattato.

Aruspici del Trasimeno ricostruzione

La stessa costellazione di Boote (il Seminatore), in antiche carte astronomiche, è rappresentata con in mano il tipico bastone con l'estremità a spirale, che ricorda proprio le forme di un lituo.

Nessun commento:

Posta un commento