di Chiara Sacchetti
Tentatrice, seduttrice e ammaliatrice ma anche conoscitrice e
portatrice di saggezza. È la sirena, creatura mitologica a metà fra il regno
marino e quello terrestre, metà donna e metà pesce che fin dal principio, è
colei che incarna le più terribili caratteristiche femminili.
In generale la donna, fin dall’antichità come abbiamo già
visto, è stata sempre simbolo di corruzione e peccato: nella religione cristiana
non possiamo non ricordarci di Eva, il primo essere femminile creato da Dio,
che insidia Adamo, sua povera e scaltra vittima, condannando con ciò l’intera
umanità al dolore e alla sofferenza. Solo l’arrivo sulla terra del Cristo,
figlio di Dio, salva l’uomo dal peccato con il sacrificio sulla croce, e per suo tramite attraverso i
sacramenti, conduce l’essere umano alla salvezza e al Paradiso.Una raffigurazione della sirena in un antico testo
Allo stesso modo tutte le figure femminili che si sono
succedute (o se si vuole precedute), siano esse reali o esseri mitologici e
leggendari, avevano (e forse tuttora hanno) questo aspetto, seppur
intrinsecamente nascosto o in maniera più palese.
Una di queste figure è sicuramente quella della sirena. La
sua doppia ambivalenza di essere d’acqua e di terra, dalla duplice natura fu per
questo motivo già usata in Cornovaglia per spiegare l’ambivalenza di Gesù, essere
umano e divino assieme.
L’etimologia della parola non è chiara né tantomeno certa:
alcuni studiosi riconducono il nome “sirene” dalla radice semitica sir-, ossia “canto”, mentre altri
sostengono che venga dal greco σειρά, ossia “fune, corda” e quindi sirena
diverrebbe colei che incatena. Altri ancora sostengono invece l’etimo σείριος,
che significa “ciò che brilla, arde” e quindi divengono come la
personificazione dell’incanto del mezzogiorno.
Celeberrimo è l’episodio tratto dall’Odissea con Ulisse che
assieme ai suoi compagni, messo in allarme dalla maga Circe, si preoccupò nel
passare vicino l’isola fra Scilla e Cariddi (l’attuale Stretto di Messina) dove
secondo la leggenda vivevano le sirene: la donna lo aveva messo in guardia dai
loro così tanto celestiali canti spiegandogli che li avrebbero attirati con il
rischio di far arenare la propria nave e non poter più andare via. Omero ci
descrive per bocca di queste leggendarie figure la loro musica come una “Voce,
che inonda di diletto il core, e di molto saver la mente abbella” e specifica che
chi si avvicina «va
(via) dopo averne goduto e sapendo più cose». Il protagonista, grazie al consiglio di Circe, si fa legare
ad un palo della nave per ascoltare la loro voce ma non essere trascinato da
una forza invisibile verso di loro, mentre ai suoi uomini chiude le orecchie
con tappi di cera. Passata l’isola delle
sirene si fa sciogliere e libera le orecchie dei compagni. È interessante
notare come di nuovo ci troviamo di fronte all’aspetto che più contraddistingue
la condizione della donna, quello della conoscenza che diviene il peccato di
sapere che attrae e affascina ma la trasforma in una figura negativa.
Vaso greco che raffigura il celebre episodio di Ulisse e dove si possono notare sirene alate
L’origine di questi esseri non è del tutto certa, alcuni miti le vogliono figlie di Acheloo il dio fluviale e di Mnemosine, o di Calliope o di Sterope, discendente di Zeus; altre storie invece raccontano che sono nate dalle gocce di sangue di Acheloo o dal suo corpo spezzato.
Quello che è certo è che inizialmente nella mitologia greca
le sirene erano invece degli ibridi fra donne e uccelli e moltissime sono le
rappresentazioni di questa figura su anfore, vasi o sopra gli ingressi alle
città: questo aspetto riporterebbe in maniera più vicina la loro caratterista
primordiale, il canto che ammalia e stordisce tutti coloro che lo ascoltano. Ma
la raffigurazione di dea alata non deve essere associata alla Nike, figura
positiva e benevola, bensì semmai a
quella delle arpie, esseri più oscuri con viso di donna e corpo di rapace impersonificazioni della tempesta. Queste
assieme alle Lamie e a Thanatos fanno parte, secondo le leggende greche, della
schiera di Ecate, divinità legata anche alla dea Diana, che, come abbiamo già
visto, porterebbe con sé le anime dei mortali (in numero sempre uguale) e dei
defunti (in numero sempre più grande). Anime queste che non avendo ricevuto le
dovute libagioni, non placate per questo con i rituali funebri dovuti, sono
condannate ad avere un perenne desiderio di sangue e quindi di tentare e
ammaliare l’essere umano.
Una leggenda del folklore irlandese ci racconta di Li Ban,
figlia di un re che fu trasformata in una sirena (con la coda di salmone) a
causa di un’inondazione rendendola anche immortale. Dopo trecento anni fu
ritrovata da un gruppo di monaci che la battezzarono cristianamente. Uno di
loro la mise di fronte ad una scelta, vivere altri trecento anni oppure morire
e divenire beata. Li Ban scelse la morte, salì quindi in Paradiso e divenne
santa.
Se si vuole cercare di capire da dove possa essere nata
questa leggenda, una delle origini plausibili di questi esseri potrebbe essere
legata a due categorie di animali marini: i lamantini mammiferi che vivono in
America e Africa, e i dugongo in India. Questi due animali che fra l’altro
appartengono alla classe dei sirenidi hanno seni grossi e sono glabri e quando
allattano emergono dalle acque fino ai fianchi.San Li Ban
Con il tempo e l’età moderna le sirene sono state trasformate
da esseri mostruosi ammaliatrici e seduttrici a figure buone. La favola di
Andersen della sirenetta, poi trasportata dalle Disney in un film animato, ci
racconta di Ariel, che innamorata di un ragazzo umano viene sulla terra. Il
carattere di tentatrice e peccatrice è ormai cancellato per far spazio ad un
essere buono e onesto e in fondo adesso è così che ci immaginiamo queste
figure.
Ariel la sirenetta della Disney in una scena del film animato
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