lunedì 27 aprile 2020

Artemide

di Chiara Sacchetti

Gemella di Apollo, Artemide è figlia di Zeus e di Leto. Il mito racconta che il padre degli dei si innamorò della donna e per possederla tramutò se stesso e lei in quaglie. Era, però, infuriata dal tradimento del marito e dal fatto che era rimasta anche incinta, decise di vendicarsi ordinando a Pitone, un terribile mostro, di perseguitare la donna per non farla partorire su nessuna terra dove batteva il sole. L’unico luogo che la donna trovò dove non sarebbe potuta avvenire la maledizione fu l’isola di Delo, che secondo alcuni racconti era Asteria, sua sorella trasformata in isola da Zeus quando lui fu rifiutato. In altri miti si racconta che Era arrivò a rapire Ilizia, dea del parto, per non far avvenire quello di Leto e solo l’intervento degli altri dei la fece desistere.
Statua di Artemide, copia romana di statua ellenistica, museo del Louvre
Nata a Delo, la dea venne alla luce senza procurare dolore alla madre e prima del fratello, e grazie a quest’ultimo aiutò la madre a metterlo al mondo, come ci racconta Esiodo nella sua “Teogonia”: per questo Artemide viene anche vista come protettrice delle partorienti e spesso invocata per calmare o non avere il dolore.
Marcantonio Franceschini, Nascita di Apollo e Artemide, Liechtenstein Palace, Vienna
La sua infanzia fu molto movimentata e già da bambina si mostrava matura e sicura: a soli tre anni, ci dice Callimaco nella sua poesia “Inno ad Artemide”, la dea chiese al padre di restare vergine per tutta la vita, di avere un arco ricurvo fatto dai Ciclopi, di avere molti nomi come il fratello Apollo, di avere anche come ancelle sessanta Oceanine di nove anni e venti ninfe figlie del fiume Amnìso affinché curassero i suoi calzari e i suoi cani quando non sarà dedita alla caccia. Non solo, anche di poter indossare una veste corta così da non essere intralciata durante la caccia stessa, ma soprattutto boschi e spazi verdi e la libertà di poter fare quello che le pareva senza mai chiedergli il permesso. Zeus l’accontentò su tutto e Artemide partì prima verso l’isola di Lipari dove trovò i Ciclopi a cui chiese di forgiare un arco d’argento e un fascio di frecce dorate, in cambio avrebbe dato loro la prima preda presa. Poi andò nel fiume Oceano dove scelse le Oceanine e le ninfe amninine tutte come sue ancelle.
Zeus donò anche tre città alla figlia, che le sarebbero state tutte fedeli e devote e la nominò custode delle strade e dei porti. Si dice infatti che il padre degli dei appena vista, fosse rimasto colpito dalla grazia della bambina e avrebbe promesso che l’avrebbe esaudita ad ogni richiesta.
Artemide è il modello femminile di indipendenza e di forza. In una società, come quella greca, in cui la donna era sicuramente messa da parte, tenuta poco in considerazione, al contrario di altre società come quella etrusca, si può quindi certamente dire che la sua figura veniva a rappresentare l’emancipazione e l’autonomia dell’essere femminile.
E forse, forte di questo, anche nella mitologia doveva mantenere questo carattere duro e deciso. Dea della caccia e dei boschi, non si poteva innamorare e ogni qualvolta esisteva invece la possibilità concreta, intervenivano tempestivamente il fratello Apollo e il padre Zeus per non compromettere la sua figura. Allo stesso tempo Artemide proteggeva chi le chiedeva aiuto. Come la bella ninfa dei boschi Aretusa inseguita insistentemente dal dio del fiume Alfeo che la voleva dopo averla vista rinfrescarsi nelle sue acque: Artemide arrivò a nascondere la donna prima fra le nebbie e poi per sempre la trasformò nella fonte del fiume.
La Ninfa Aretusa
Il legame fra la dea e il suo nucleo familiare apparve fin da subito molto forte e non a caso era una dea che proteggeva la sua famiglia, amata e quasi venerata dal padre, difese a spada tratta sempre sua madre già da quando venne al mondo, come abbiamo visto. Celebre l’episodio che la vide protagonista con Niobe, figlia di Tantalo, re della Lidia, colpevole di aver dichiarato a tutti che i suoi figli erano più belli e numerosi rispetto a quelli della madre Latona. Artemide, furiosa con la donna, le mandò contro di lei e le sue creature, sei maschi e sei femmine la sua ira e quella del fratello, uccidendole tutta la prole e lasciandola in una disperazione profonda.
Abraham Bloemaert, Niobe assiste disperata alla morte dei suoi figli, Copenagen Statens Museum for Kunst
La dea viene anche spesso associata, (in contrapposizione al fratello che nel tempo andò a simboleggiare il Sole), con la Luna crescente, assieme a Selena che rappresentava la Luna piena ed Ecate, quella calante. Non a caso il suo arco forgiato dai Ciclopi, era d’argento, a voler simboleggiare la falce della “sua” luna.
Il suo corrispettivo romano viene indicato nella dea Diana, anche se le due figure in realtà sono per certi aspetti diverse tanto che la dea latina andrà nel tempo a rappresentare la parte più oscura e terribile della donna fino ad essere associata addirittura alla stregoneria.

Nessun commento:

Posta un commento