lunedì 11 gennaio 2021

I Fedeli d'Amore la setta di Dante?

di Chiara Sacchetti

Quando si parla di Dante si pensa subito alla Divina Commedia, la sua opera più grande e importante e sicuramente la più conosciuta nel Mondo. Al di là del racconto che per anni è stato oggetto di studio di innumerevoli studenti dei licei, l’immensa impresa del Sommo Poeta cela secondo alcuni studiosi più esperti e soprattutto legati all’esoterismo, significati e simboli più profondi e intrinseci.

All’inizio del 1900, uno di questi, Luigi Valli, discepolo di Pascoli, ma già prima di lui autori dell’importanza di Foscolo, Perez e Rossetti, teorizzarono l’esistenza di una setta composta da alcuni autori stilnovisti, fra cui lo stesso Dante Alighieri, uniti da un comune lessico segreto e magico che solo gli appartenenti conoscevano ed usavano. Nel suo libro “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore”, pubblicato nel 1928, il Valli, espone infatti una visione personale ed esoterica di alcune opere di questi poeti che attribuivano un senso diverso alle medesime parole e un significato simbolico a numeri e colori: il bianco e il rosso, per esempio, di cui è vestita Beatrice nelle due occasioni in cui incontra il "Sommo Poeta", non sarebbero altro che due delle tre gradazioni in cui la materia si trasforma durante i passaggi alchemici, il primo starebbe ad indicare l'elemento purificato, mentre il secondo la veste regale, ma assieme anche i colori della rosa mistica del Libro dello Splendore che rappresenta la comunità del popolo di Israele.

Luigi Valli (Roma 1878-1931)

A confermare tale teoria secondo lo studioso troviamo la poesia di Dante, “Donne che avete intelletto d’amore”, tratta dalla Vita Nova, opera meno nota ma più importante per comprendere l’esistenza del poeta. Qui l’autore si rivolge ai suoi confratelli, dicendo loro che deve parlare di un nuovo Amore, diverso e altro rispetto a quello già presente, puro e gentile, ma subito dopo averlo spiegato, si pente, rendendosi conto di aver detto troppo, ammonendo se stesso e dicendo e raccomandandosi di essere chiaro solo con «donne e omo cortese».

La dimostrazione dell’esistenza della setta dei Fedeli d'Amore si troverebbe in due importantissimi testi, i "Feudi d'Amore" opera di Giacomo di Baisieux della metà del XIII secolo, e i "Documenti d'Amore" scritto da Francesco da Barberino fra il 1308 e il 1313, e quindi nel pieno del processo ai Cavalieri Templari a Firenze. Il primo è un vero e proprio manuale che tratta della Confraternita e della sua organizzazione: si scopre che chiunque può farne parte, al momento dell'iniziazione si riceve un bacio (simbolo per eccellenza dell'Amore), che i membri devono proteggere se stessi e la Confraternita, ma solo con le parole come uniche armi da usare, che esistono per questo anche un vincolo di segretezza e affiliazione per tutta la vita (anche se sappiamo che un certo Bacciarone di messer Baccone ne uscì e che scrisse con parole molto dure e aspre contro la "Setta d'Amore" come lui la definisce, perché porterebbe alla dedizione totale fino al completo abbandono di amici e parenti), e anche di una scala gerarchica relativa alla conoscenza. Il secondo libro, invece, visto anche il periodo piuttosto difficile in cui è stato scritto, è una summa dello scibile riguardante la confraternita ma molto più criptico, in cui vengono esplicati, attraverso soprattutto delle illustrazioni, la Natura dell'Amore e i gradi dell'iniziazione.

Libro "I documenti d'Amore" di Francesco da Barberino
Ma chi erano e a cosa credevano questi adepti? Accomunati da una ispirazione amorosa, e per questo devoti ad una Donna, essi attraverso "Amore", cercavano di arrivare alla Sophia, ovvero la Sapienza eccelsa e tramandata, ma nascosta da un velo per impedire a chi non fosse degno di poterla vedere, una conoscenza che è totale, che si fa comprensione della Natura e di tutto quello che circonda l'essere umano che ne fa parte. Fulcro e veicolo di questo lungo cammino è appunto la Donna che altro non è che portatrice di Amore, inteso però non come il sentimento che unisce due persone, ma come A (privazione) e MORS (morte), ovvero privazione della morte e quindi eternità, perché la Sapienza è qualcosa che non finisce ma che continua in eterno, tramandata ai discendenti degni di poter arrivare alla Somma Conoscenza.

Statua della Sophia nella Celsus Library a Efeso

Donna ed esempio per eccellenza è Beatrice, amata da Dante fin dal primo momento in cui l'ha vista. Nella Vita Nova il Poeta ci racconta che già al momento della sua nascita, seppur anche lui in fasce, ebbe un "sussulto", quasi a prevedere quello che sarebbe accaduto; e il "tremore" che avrà alla sua vista è facilmente riconducibile allo stesso effetto che i poeti ermetici usavano per indicare l'illuminazione divina. Probabilmente portatrice di beatitudine, come può ben far comprendere il suo stesso nome, la donna incontrerà Dante due volte, la prima quando aveva soli nove anni e successivamente nove anni dopo. La donna morirà il nono giorno del nono mese dell'anno in cui nove volte è compiuto il numero perfetto il tre. È ben evidente il profondo e deciso significato simbolico e numerico di questi importanti avvenimenti, perché il tre è il numero che indica la Trinità, e quindi per questo considerato perfetto, mentre il nove, che è tre volte tre, arriva a rappresentare la perfezione "assoluta". Ma proprio la morte di Beatrice è l'elemento cardine da cui poter ben ritenere che quella creatura di cui parla Dante non sia qualcosa di reale, ma un percorso iniziatico mistico e sapienziale di cui Beatrice è appunto il mezzo per arrivarci e la sua dipartita starebbe ad indicare la conclusione di tale  cammino. Nella Vita Nova il Poeta non fa neanche un breve accenno a tale evento, anche se per sua stessa ammissione l'opera ha come argomento principale l’ esistenza di Beatrice e quindi ciò che di importante è accaduto intorno ad essa. Non solo. Ci dice che non ne può parlare perché non esistono parole (o meglio Lui non riesce a trovarle) per poter descrivere quanto accaduto, ma soprattutto che parlare della perdita di Beatrice significava anche parlare di se stesso e della sua fine. Ma se Dante è ovviamente ancora vivo come può dire che parlare della morte della donna sia raccontare della sua fine? E se quella scomparsa non fosse stata reale ma simbolica? Il segno della fine del suo viaggio (spirituale) verso la Sophia? E quindi la Donna non sarebbe stata un entità reale ma un essere celeste e un tramite per arrivare al suo vero fine?

Dante che incontra Beatrice

Al momento il dibattito è ancora assai aperto e nessuno sarebbe in grado di fornire risposte e spiegazioni esaurienti a queste domande  e che possano dare certezze e chiarimenti sul vero significato delle opere e della vita non solo di Dante ma anche di molti altri letterati a lui legati molti dei quali appartenenti alla stessa confraternita. Numerose e indubbiamente plausibili sono le opinioni date finora dagli studiosi della materia, ma nessuna ancora riesce a dare una interpretazione che possa colmare e soddisfare definitivamente i dubbi ancora presenti sull’argomento.

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