lunedì 14 dicembre 2020

Il processo per stregoneria a Bellezza Orsini

di Chiara Sacchetti

Bellezza (vero nome Isabella) nacque a Collevecchio (Rieti) in Sabina fra il 1475 e il 1480 da Pietro Angelo Orsini del ramo di Mugnano-Foglia, del quale dovette essere illegittima figlia e da un ramo secondario della famiglia. Ma la sua parentela è chiarissima nel quaderno che ci ha lasciato ed è rimasto nascosto per molti anni negli incartamenti giudiziari: proprio durante il processo viene nominata la figura del cardinale Giovanni Battista Orsini, con cui si evidenzia che Bellezza ha una certa familiarità, zio di Franciotto Orsini futuro cardinale, signore al tempo di Monterotondo e marito di Violante Orsini, il cui padre era uno dei figli legittimi del padre di Bellezza Pietro Angelo. È ricordata però con questo nome per il suo fascino che seppe usare nel migliore dei modi per sopravvivere ad una vita difficile. Ancora giovanissima andò in sposa ad un uomo molto più grande di lei, come era consuetudine a quel tempo, che non amava e da cui ebbe un figlio, Giovanni. Rimasta vedova presto, si trasferì a Monterotondo vicino a Roma per lavoro presso la famiglia degli Orsini, dove faceva la cuoca ma dove il conte si accorse subito della sua avvenenza.

Stemma della Famiglia Orsini

Qui, oltre che le faccende domestiche, doveva dare anche da mangiare a pranzo e cena  a Lucia De Lorenzo da Ponzano, una donna rinchiusa nelle carceri del castello Orsini che la prese subito in simpatia e che le cambiò l’esistenza anche se tutti dicevano essere una strega, ma Bellezza vedeva nella donna solo il bene:  raccontò che in lei vedeva  anche e soltanto una persona che l’aiutava e che le insegnava moltissime cose. Da lei aveva imparato a riconoscere le erbe, a piantarle e raccoglierle nel periodo giusto, a metterle insieme e trattarle  per curare le malattie. Le fece leggere anche un “livrone”, come lo definisce lei, che diceva tutti i segreti del mondo e grazie al quale poteva guarire ogni sorta di male: si può ragionevolmente pensare che si trattasse di un testo simile all’Herbolario volgare, stampato a Venezia soltanto pochi anni prima, e probabilmente integrato dalle proprie conoscenze e da quelle dell’amica-maestra Lucia.

Di pari passo si avvicinò alla religione e in particolare all’ordine Francescano fino a diventarne terziaria e proprio i frati francescani di Civitella San Paolo si rivolsero a lei per chiedere aiuti, come lei stessa racconta che le: « hanno facte tante carezze, li frati, che se fosse stata una regina non ne haveriano facte tante, perché li insegnava delle cose bone e mostravali el mio libro, e me tenivano multo ben cara, stava ad magnare ad tavola con loro, ad cuchiari e forchette d’argento.»

Ma tutto ciò non passò inosservato alle persone del luogo che cominciarono a mormorare e a sospettare che Bellezza fosse anche lei una strega e facesse riti e malie alla gente del posto. Nel 1528 Marco Callisto da Todi, giudice molto giovane e ligio al dovere, di Fiano Romano, feudo fra l’altro di Ludovico Orsini, incarcerò così la donna per noticia criminis viste le numerose voci contro di lei, e molti furono anche i testimoni d’accusa, tutti del paese vicino di Filicciano.

Banchetto del Sabba

Fra loro la vedova Elisabetta che raccontò che per ripicca durante il pellegrinaggio a Roma, Bellezza avrebbe toccato suo figlio che in poco tempo si sarebbe sentito male ammalato e poi morto. Cecco il barcaiolo invece testimoniò  che dopo che il nipote ebbe una lite con il figlio di Bellezza Giovanni, la donna l’avrebbe “unto” e in pochi mesi il ragazzino si sarebbe consumato e infine sarebbe anch’esso morto di un male inspiegabile. Infine don Egidio che dopo aver tentato di riportare Bellezza sulla retta via avrebbe subìto egli stesso i suoi malefici e soltanto l’intervento della donna lo avrebbe salvato.

Dopo i primi interrogatori davanti al giudice dove Bellezza raccontò la sua verità, quella che pensava potesse scagionarla, e cioè di aver usato erbe e altre sostanze praticando davvero la medicina, ma quella dei “semplici” per aiutare la gente a guarire e non certamente per uccidere. Ma il giudice, quasi con ingiustificato disprezzo, non credette alle sue parole, anzi fece di tutto per sapere e avere di più da lei. Così Bellezza venne torturata al punto da dover cedere, scrivendo il suo quaderno di confessione, poi trascritto dal notaio e inserito nel fascicolo processuale. Qui Bellezza raccontò che «et pro exprimat veritatem ad unguem propterea alias promisit dicere et non dixit» e questa era la sua verità: era stata al sabba del Noce di Benevento volando dove si era unita carnalmente al diavolo e come lei altre donne, e che lei era “grande maestra e matrona” delle streghe della Sabina.

Processo per stregoneria con Giudice e Imputata

Dopo aver raccontato quanto voleva sentirsi dire, il giudice promise a Bellezza di salvarle la vita ma di rinchiuderla per sempre in un monastero. Ma la verità purtroppo era un’altra e alla fine l’uomo emise la vera sentenza quella di morte per la donna. Bellezza, riportata in carcere in attesa dell’esecuzione, decise di non essere vittima di tale ingiustizia, e di non sottostare alla volontà del giudice: trovò nella cella un chiodo e se lo spinse due volte nella gola. Fu trovata poco dopo priva di vita, morta sì ma come donna libera e non sul rogo come invece avrebbe voluto il giudice. Così il suo nome non comparve ingiustamente fra coloro che sono morte per mano della Santa Inquisizione.

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