La condanna a morte
di Chiara Sacchetti
Abbiamo parlato nell’articolo precedente della vita di Ipazia, e di come la sua libertà e volontà di sapere e di insegnare, assieme al
fatto di essere una donna di una cultura vastissima per il periodo, siano state
le ragioni principali della sua atroce quanto ingiustificata morte. Una fine,
quella di Ipazia, che viene spesso vista come la fine stessa delle scienze, dello
studio e del paganesimo, con la vittoria della Chiesa e delle sue dogmatiche regole.
Ma cosa faceva davvero? E come è avvenuta?
Ipazia di John Toland 1720 |
Come abbiamo visto la volta scorsa, Ipazia a soli 31 anni, fu a capo della Scuola
Alessandrina dopo la morte del padre, anch’essa per mano di chi voleva
opprimere e soffocare la vera la
Conoscenza : qui la donna insegnava e studiava filosofia, matematica,
medicina, astronomia e scienza anche sperimentale, riuscendo a dare vita ed uso
a molti strumenti come l’astrolabio, l’areometro e l’idroscopio. Il momento come spesso accade, quello in cui
viveva e studiava Ipazia, non era in accordo con i tempi e le esigenze della
Chiesa stava già cominciando la sua opera di “conquista” di tutto l’Impero,
spesso purtroppo anche a colpi di feroce violenza e repressione: Platone,
Aristotele e altri importanti figure filosofiche e scientifiche erano bandite, per
non parlare delle donne alle quali non era ne permesso ne consentito dedicarsi
allo studio e l’unico sapere era quello che l’istituzione ecclesiastica stessa
imponeva. Ma perché? Perché tutti gli studiosi (filosofi o matematici che fossero) insegnavano
che si doveva usare sempre la
Ragione per accedere al Sapere, andando così contro a quella
che era la base stessa della religione, ovvero la fede e l’atteggiamento
dogmatico conseguente: essa non poteva e non doveva essere discussa, bensì
accettata, proprio come un dogma, per il
fatto stesso di non essere comunque cosa dimostrabile. La donna era per
eccellenza un essere inferiore, anzi colei per colpa della quale l’uomo era
stato cacciato da Dio dal Paradiso Terrestre e presto anche in combutta con il
Demonio per fare chissà quali altre nefaste azioni. Essa non poteva
certamente accedere alla Conoscenza alla
parità dell’uomo o almeno di certi uomini.
Nel 391 l’imperatore Teodosio con il suo editto aveva
dichiarato il Cristianesimo la religione dell’Impero e allo stesso tempo
eretiche tutte le altre, dando così inizio ad un guerra senza esclusione di
colpi: templi chiusi, biblioteche messe a ferro e fuoco e lotte fra cristiani e
pagani per la stessa religiosa supremazia.
Rovine di Alessandria d'Egitto. Un pilastro con una piccola sfinge |
Ad Alessandria la situazione era anche peggiore, «il
popolo alessandrino, più che altri popoli, è felice nell'avere tumulti. Se, in
qualunque tempo, possono averne un pretesto, attuano catastrofici mali, per cui
vi sono incessanti fatti di sangue», come ci ricorda Socrate Scolastico nella
sua Storia Ecclesiastica.
Così studiosi come Teone, la figlia Ipazia e altri compagni cercarono subito di
correre al riparo per salvare ciò che era umanamente possibile e continuando nella
loro opera di studio e divulgazione,
purtroppo con una fine, seppur a distanza di molti anni come sappiamo che fu
tragica per tutti.
In quell’anno, durante gli scontri fra Cristiani e Pagani, fu il padre di Ipazia Teone che ne subì le
conseguenze, egli nel tentativo di mettere in salvo i volumi della Biblioteca
nella nave di Zosino, morì nell’incendio appiccato da una folla che andava in
aiuto al vescovo Teofilo per distruggere il simbolo del Paganesimo. Assieme a
lui perì anche un allievo, Zeev, e poco dopo gli studiosi Ausenzio e Zosimo, questa
volta a bordo della nave di quest’ultimo anch’essa bruciata dai cristiani
assieme a tutti i templi all’interno dei quali erano riusciti a mettere in salvo più di 50
mila volumi, ormai anch’essi perduti.
Iscrizione della Biblioteca di Alessandria |
Ipazia avrà lo stesso una triste sorte ma in modo più lungo e
difficile e soprattutto senza pietà. Vediamolo. Andata completamente distrutta la Scuola , la filosofa fece nascere dentro casa sua un Centro Studi,
ma la situazione di assedio, le continue lotte assieme ad una repressione
psicologica, portarono molti degli allievi ad abbandonare il centro stesso. Donna
di grande forza e determinazione, Ipazia rifiutò prima l’offerta del prefetto
Egravio di conversione per lei e i suoi studenti, poi partì per un lungo
viaggio assieme a Shalim alla ricerca di antichi testi e nella speranza di
trovare nuove sovvenzioni per riaprire sia la Scuola che la Biblioteca.
Atene, Pergamo, Antiochia, furono queste alcune delle mete
del suo itinerario, nella speranza di trovare il trattato sulla luce di Moco,
un atomista fenicio. Tutto però senza risultati, tutto perchè andato distrutto
dagli incendi innescati dagli stessi
Cristiani. A Roma ancora si trovavano i pochi difensori della libertà di culto
e del Sapere, come Nicomano Flaviano e Simmaco Quinto Aurelio, mentre a Milano
Ipazia incontrò il vescovo Ambrogio nella speranza di avere sostentamenti
economici per i suoi progetti purtroppo inutilmente. Anzi il vescovo espresse
tutto il suo sdegno, non mancando di far notare a Ipazia che ormai non c’era
più nulla da poter fare, che la
Religione stava già comandando sulla Ragione e che per gli
studiosi come lei non ci sarebbe stata alcuna speranza come in effetti sarà.
A Cartagine, Ipazia e
i suoi incontrarono Agostino, colui che poi sarebbe diventato uno dei Padri
della Chiesa, con cui la donna ebbe un accesa discussione, cercando di
dimostrare che la religione se mal professata sarebbe stata in realtà un freno
alla libertà di ricerca e di studio.
Il vescovo Cirillo |
Ipazia divenne così l’ostacolo principale sulla strada della completa
accettazione e conquista da parte del Cristianesimo dell’intero Impero Romano.
Ci vollero anni per ordire la sua morte, atroce e violenta, senza alcuna pietà
né ripensamento, di una brutalità che nemmeno le bestie feroci sarebbero state
in grado di fare. Ma alla fine ci riuscirono.
I suoi continui rifiuti alla conversione, la sua tenacia nel
voler a tutti i costi studiare e soprattutto insegnare a chiunque per strada,
senza alcuna esclusione ogni suo sapere, dare la capacità a ognuno, e non solo
a pochi eletti, di ragionare grazie alla vera Conoscenza divennero la sua
condanna a morte.
Una sola bandiera si alzò in suo aiuto, il prefetto imperiale
Oreste che cercò in tutti i modi di salvare lei e la sua scuola, proteggendola
e cercando e ottenendo anche insperate sovvenzioni per la medesima oltre ad
alcuni privilegi, pregandola però di smettere di andare per le strade di
Alessandria a insegnare caparbiamente il suo bagaglio di scienza.
Ma essa non lo fece. Il 25 marzo 415, pochi giorni prima di
essere uccisa, il vescovo Cirillo, con Pietro il Lettore e il prefetto Oreste
arrivò a casa della donna, mentre lei stava facendo lezione alla folla che era
accorsa, dicendole di smettere di insegnare e di abbandonare subito Alessandria
ma Ipazia rifiutò. Nel tumulto che ne derivò il prefetto rimase solamente
ferito dall’assalto di uno dei monaci-parabolani, salvato da Shalim che lo
condusse ancora sanguintante dentro casa della donna. Qui avvenne
l’interrogatorio del feritore che, credendosi forse al sicuro, strappò la spada
ad una delle guardie e cerco di uccidere Ipazia, che fu salvata ancora una volta da Shalim.
Il martirio di Ipazia |
E si
arriva così al giorno della sua morte. L’8 marzo, pochi giorni dopo il tumulto,
Ipazia e Shalim di ritorno da un incontro vennero assaliti da centinaia di
monaci-parabolani capeggiati da Pietro il Lettore: Shalim con tutte le sue
forze tentò di fermarli ma essi erano troppi e determinati e anche lui dovette
cedere. Essi furono legati e portati nella
cattedrale del Cesareo. Pietro strappò le vesti della donna e con le unghie le
cavò gli occhi e il cuore, buttandoli sull’altare, poi lasciò il suo corpo
nelle mani dei monaci che con le conchiglie lo fecero a brandelli, mentre
Shalim assisteva impotente. Una volta terminato un vero e proprio scempio,
misero i pezzi del corpo di Ipazia in un sacco di iuta e arrivati davanti alla
casa della donna, la misero a ferro e
fuoco. Poi e si diressero verso il Cinerone, dove gettarono nel fuoco i poveri resti. Pietro infine alzò al cielo le
sue mani e le sue unghie insanguinate in segno di definitiva vittoria. La prima
vera tappa verso un mondo migliore ebbe così la sua brusca e ingiustificata
interruzione e tanto tempo dovette trascorrere prima che nuove valide menti
restituissero dignità e valore alla sacerdotessa – scienziato e al suo prezioso
operato.
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