giovedì 9 marzo 2023

Il “sogno” di Ferdinando Panciatichi Ximenes. Il Castello di Sammezzano

di Mario Pagni

In età giovanile nelle nostre gite domenicali era pressoché d’obbligo fra le gite fuori porta da Firenze, spingersi con le più incerte auto di allora fino a Leccio su una delle vecchie viabilità che riportavano da un altro vallone verso il Pratomagno e la Vallombrosa. In uno slargo sulla sinistra venendo da Firenze un vecchio cancello che non riusciva a nascondere una grande collina boscosa con alberi giganteschi costituiva il primo diaframma fra il mondo moderno e il fascino antico di un parco e di un edificio posto in cima alla collina ancora e forse per sempre immersi in una realtà totalmente surreale: il Castello di Sammezzano. Già il nome dal punto di vista strettamente architettonico non chiariva bene di che costruzione si trattasse. Il vicino castello dell’Incisa Valdarno visibile anche dall’autostrada costituiva invece un raro e ancora limpido esempio di un passato tardo-medievale dove rocche e veri castelli imperversavano sul territorio toscano.

Il castello, ingresso principale

I castelli nel XIX secolo invece avevano smesso di essere luoghi pensati per incutere timore e rispetto, meri bastioni difensivi che presiedevano alla sorveglianza di territori e regioni. Nell’Ottocento i castelli diventarono luoghi di una memoria immaginata, di una nostalgia legata ad atmosfere medievali cavalleresche che forse avevano pochi legami con la realtà storica, ma che risultavano irresistibili per l’ambiziosa borghesia trionfante. E talvolta i castelli potevano rappresentare mondi lontani, esotici, utopie eclettiche che vennero successivamente raccolte sotto l’ombrello di “architettura orientalista”. Uno degli esempi più chiari in Italia di castello neomoresco e orientalista è appunto quello di Sammezzano, nei pressi di Leccio a Reggello, a poca distanza da Firenze. Questo curioso edificio costituisce, insieme a quella deliziosa follia che è la Rocchetta Mattei vicino a Bologna, l’esempio più insigne di un’epoca in cui l’eclettismo osava l’impensabile. Il committente fu Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, che iniziò i suoi lavori di restauro nel 1853, proprio l’anno ironia della sorte  in cui l’ammiraglio statunitense Matthew C. Perry prendeva a cannonate la città di Edo (attuale Tokyo) in Giappone, aprendo i porti del Sol Levante al libero scambio con i mercati occidentali e dando il via alla moda, anzi la frenesia del japonisme in Occidente.

La planimetria dell'edificio

Il parco circostante è un coacervo di piante secolari alcune assai rare come le grandi Sequoie o altre tipologie di alberi e di siepi. Inoltre intorno alla costruzione pressoché in simbiosi con la maestosità della natura circostante, vi è un importante sistema fognario con gallerie e cunicoli che a seconda dei casi mutano il livello dell’acqua presente. Ricordo una di queste una sorta di pozzo che sbocca all’esterno sotto il castello con una scalinata a chiocciola che discende fino ad incontrare l’acqua. La mia immaginazione di allora vide la possibilità che immaginari esseri acquatici  solo simili a noi umani, salissero quella scala magari nottetempo per tornare nel parco già privo di turisti a goderne la bellissima natura nel più assoluto silenzio.

Il parco con le sequoie

 

La storia del Castello

Il marchese Ximenes d’Aragona lavorò sul castello, in origine un’antica fattoria risalente al 1605, per quarantacinque lunghi anni, fino alla sua morte, avvenuta nel 1897. I lavori si conclusero nel 1889, l’anno per intendersi di inaugurazione della Tour Eiffel di Parigi per l’Esposizione Universale, altra data fondamentale per la storia dell’architettura moderna. Il mondo stava davvero cambiando, e in questo scenario in rapida evoluzione il Castello di Sammezzano rappresentava un quieto compendio di tutta la storia esotica e lontana, una forte presente reazione nostalgica. Qui si trovano ambienti dall’atmosfera magica come l’iridata Sala dei Pavoni, l’atrio delle Colonne, la cappella, l’Ottagono degli Specchi, la Sala dei Gigli, la Sala degli Amanti, la Sala Bizantina, l’Ottagono dorato, la Sala delle Stelle, o la superba Sala Bianca. Ambienti onirici che fino dal nome ispirano suggestioni infinite. In un mondo che correva a perdifiato tra le braccia della modernità, Sammezzano rappresenta oggi un ultimo, sublime, quasi patetico tentativo di continuare a sognare anche quando ormai il freddo mattino della realtà quotidiana è sopraggiunto.

Castello di Sammezzano sala dei Pavoni

Oggi Sammezzano è un monumento che rappresenta in maniera cristallina l’atmosfera di quegli anni straordinariamente complessi a cavallo tra modernità e tradizione, tra razionalità ed eclettismo. Tuttavia questo monumento, nel suo genere uno dei più importanti d’Italia, non è ancora completamente accessibile al pubblico, essendo proprietà della società italo-inglese Sammezzano Castle S.r.l., e attende ancora un quanto mai auspicabile restauro complessivo per mettere al sicuro la sua incredibile ricchezza estetica e artistica. Il castello è risultato al primo posto nella classifica del FAI I luoghi del Cuore del 2016 con oltre 50mila voti, il bene è stato inoltre inserito nella Lista Rossa dei Beni Culturali in Pericolo da Italia Nostra ONLUS e fa parte dei sette luoghi culturali più in pericolo d’Europa promossa da Europa Nostra.

Dopo svariate aste andate a vuoto, la proprietà (dichiarata fallita nel 2017 e in seguito uscita dal fallimento nel 2019), nonostante le dichiarazioni incoraggianti, ancora non ha chiare le idee su come valorizzare la struttura. Sarebbe auspicabile che la proprietà privata che attualmente detiene il bene si chiedesse in maniera pragmatica quali sarebbero gli eccellenti ritorni di immagine nei termini di Responsabilità Sociale d’Impresa (i famosi valori intangibile di cui tanto parla l’economia attuale e che hanno risvolti ben concreti) qualora decidesse di investire congrue cifre per la riqualificazione e la pubblica fruizione del bene. Attualmente infatti il castello è visitabile solo in talune occasioni come le Giornate di Primavera FAI.

La cupola lucernario della Sala Bianca


Nessun commento:

Posta un commento