di Mario Pagni
In età
giovanile nelle nostre gite domenicali era pressoché d’obbligo fra le gite
fuori porta da Firenze, spingersi con le più incerte auto di allora fino a
Leccio su una delle vecchie viabilità che riportavano da un altro vallone verso
il Pratomagno e la Vallombrosa. In uno
slargo sulla sinistra venendo da Firenze un vecchio cancello che non riusciva a
nascondere una grande collina boscosa con alberi giganteschi costituiva il
primo diaframma fra il mondo moderno e il fascino antico di un parco e di un
edificio posto in cima alla collina ancora e forse per sempre immersi in una
realtà totalmente surreale: il Castello di Sammezzano. Già il nome dal punto di
vista strettamente architettonico non chiariva bene di che costruzione si
trattasse. Il vicino castello dell’Incisa Valdarno visibile anche
dall’autostrada costituiva invece un raro e ancora limpido esempio di un
passato tardo-medievale dove rocche e veri castelli imperversavano sul
territorio toscano.
Il castello, ingresso principale |
I castelli nel XIX secolo invece avevano smesso di essere luoghi pensati per incutere timore e rispetto, meri bastioni difensivi che presiedevano alla sorveglianza di territori e regioni. Nell’Ottocento i castelli diventarono luoghi di una memoria immaginata, di una nostalgia legata ad atmosfere medievali cavalleresche che forse avevano pochi legami con la realtà storica, ma che risultavano irresistibili per l’ambiziosa borghesia trionfante. E talvolta i castelli potevano rappresentare mondi lontani, esotici, utopie eclettiche che vennero successivamente raccolte sotto l’ombrello di “architettura orientalista”. Uno degli esempi più chiari in Italia di castello neomoresco e orientalista è appunto quello di Sammezzano, nei pressi di Leccio a Reggello, a poca distanza da Firenze. Questo curioso edificio costituisce, insieme a quella deliziosa follia che è la Rocchetta Mattei vicino a Bologna, l’esempio più insigne di un’epoca in cui l’eclettismo osava l’impensabile. Il committente fu Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, che iniziò i suoi lavori di restauro nel 1853, proprio l’anno ironia della sorte in cui l’ammiraglio statunitense Matthew C. Perry prendeva a cannonate la città di Edo (attuale Tokyo) in Giappone, aprendo i porti del Sol Levante al libero scambio con i mercati occidentali e dando il via alla moda, anzi la frenesia del japonisme in Occidente.
La planimetria dell'edificio |
Il parco
circostante è un coacervo di piante secolari alcune assai rare come le grandi
Sequoie o altre tipologie di alberi e di siepi. Inoltre intorno alla costruzione pressoché in simbiosi con la
maestosità della natura circostante, vi è un importante sistema fognario con
gallerie e cunicoli che a seconda dei casi mutano il livello dell’acqua
presente. Ricordo una di queste una sorta di pozzo che sbocca all’esterno
sotto il castello con una scalinata a chiocciola che discende fino ad
incontrare l’acqua. La mia immaginazione di allora vide la possibilità che
immaginari esseri acquatici solo simili
a noi umani, salissero quella scala magari nottetempo per tornare nel parco già
privo di turisti a goderne la bellissima natura nel più assoluto silenzio.
Il parco con le sequoie |
La storia del
Castello
Il marchese
Ximenes d’Aragona lavorò sul castello, in origine un’antica fattoria risalente
al 1605, per quarantacinque lunghi anni, fino alla sua morte, avvenuta nel
1897. I lavori si conclusero nel 1889,
l’anno per intendersi di inaugurazione della Tour Eiffel di Parigi per
l’Esposizione Universale, altra data fondamentale per la storia
dell’architettura moderna. Il mondo stava davvero cambiando, e in questo
scenario in rapida evoluzione il Castello di Sammezzano rappresentava un quieto
compendio di tutta la storia esotica e lontana, una forte presente reazione
nostalgica. Qui si trovano ambienti
dall’atmosfera magica come l’iridata Sala dei Pavoni, l’atrio delle Colonne, la
cappella, l’Ottagono degli Specchi, la Sala dei Gigli, la Sala degli Amanti, la
Sala Bizantina, l’Ottagono dorato, la Sala delle Stelle, o la superba Sala
Bianca. Ambienti onirici che fino dal nome ispirano suggestioni infinite.
In un mondo che correva a perdifiato tra le braccia della modernità, Sammezzano
rappresenta oggi un ultimo, sublime, quasi patetico tentativo di continuare a
sognare anche quando ormai il freddo mattino della realtà quotidiana è
sopraggiunto.
Castello di Sammezzano sala dei Pavoni |
Oggi
Sammezzano è un monumento che rappresenta in maniera cristallina l’atmosfera di
quegli anni straordinariamente complessi a cavallo tra modernità e tradizione,
tra razionalità ed eclettismo. Tuttavia questo monumento, nel suo genere uno
dei più importanti d’Italia, non è
ancora completamente accessibile al pubblico, essendo proprietà della società
italo-inglese Sammezzano Castle S.r.l., e attende ancora un quanto mai
auspicabile restauro complessivo per mettere al sicuro la sua incredibile
ricchezza estetica e artistica. Il castello è risultato al primo posto
nella classifica del FAI I luoghi del Cuore del 2016 con oltre 50mila voti, il
bene è stato inoltre inserito nella Lista Rossa dei Beni Culturali in Pericolo
da Italia Nostra ONLUS e fa parte dei sette luoghi culturali più in pericolo
d’Europa promossa da Europa Nostra.
Dopo
svariate aste andate a vuoto, la proprietà (dichiarata fallita nel 2017 e in
seguito uscita dal fallimento nel 2019), nonostante le dichiarazioni
incoraggianti, ancora non ha chiare le idee su come valorizzare la struttura.
Sarebbe auspicabile che la proprietà privata che attualmente detiene il bene si
chiedesse in maniera pragmatica quali sarebbero gli eccellenti ritorni di
immagine nei termini di Responsabilità Sociale d’Impresa (i famosi valori intangibile
di cui tanto parla l’economia attuale e che hanno risvolti ben concreti)
qualora decidesse di investire congrue cifre per la riqualificazione e la
pubblica fruizione del bene. Attualmente infatti il castello è visitabile solo
in talune occasioni come le Giornate di Primavera FAI.
La cupola lucernario della Sala Bianca |
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