lunedì 20 marzo 2023

Baba Jaga, la strega leggendaria

di Chiara Sacchetti

Abbiamo già visto nel corso dei nostri scritti figure della tradizione e del folklore che incarnano aspetti negativi o positivi di una società e che spesso diventano capri espiatori dei mali di ciascuno.

Questa volta parliamo di Baba Jaga, una creatura leggendaria che trova le sue origini dalla mitologia slava e diventata successivamente protagonista di molte fiabe polacche, russe e bulgare, oltre che anche fra i personaggi di alcuni rituali magici austriaci, montenegrini e di uno spirito in Bulgaria, Serbia e Croazia.

Baba Yaga, illustr. di Bilibin (coll. privata)

 

L’origine del nome

Non è ancora certa l’etimologia di Baba Jaga. In russo Baba indica una donna, anche se nel linguaggio per così dire moderno ha preso un’accezione più divertente e ironica, mentre nelle lingue indoeuropee è il “progenitore” o “l’antenato”. Jaga invece è una parola senza alcun significato nella lingua russa mentre si ritrova nel sanscrito con il concetto di sacrificio.

La prima comparsa ufficiale di questa figura risale al XVII secolo quando si parlò per la prima volta di lei nel manoscritto di Mikhail V Lomonosov, Grammatica Russa, ma in molti sostengono che sia più antica, tanto che alcuni ritengono verosimile la sua affinità con la dea greca Persefone, dea della primavera e della natura, ritenendola la sua omologa slava, per la sua vicinanza ai boschi alle foreste e alla natura selvaggia in generale. Quello che è certo è che secondo la mitologia slava Baba Jaga risale al XII sec?. e le prime tracce di questa figura si trovano nel 1588 nel trattato ‘Of the Russe Commonwealth’ del viaggiatore Giles Fletcher il Vecchio che, arrivato nel territorio di Perm' dai Samoiedi, aveva letto circa il culto degli idoli "d'oro o Âgà Baba", scoprendo però che era una "favola senza senso".

 

Chi è Baba Jaga?

“L’essenza di Baba Yaga esiste in molte culture e in molte storie, e simboleggia la natura imprevedibile e indomabile dello spirito femminile, della Madre Terra e il rapporto delle donne con la natura selvaggia” racconta Lindy Ryan, scrittrice e professoressa di Data science e visual analytics alla Rutgers University del New Jersey.

giovedì 16 marzo 2023

Nazismo occulto. Il mistero del castello di Houska

di Mario Pagni

 

È ormai noto da tempo che ciò che è purtroppo successo nella seconda guerra mondiale, oltre che essere esempio di estrema nefandezza e orrore per tutti i crimini che sono stati perpetrati nei confronti della umana civiltà, non sia a tutt’oggi che una minima parte dei reali scopi del nazismo che definiremo per comodità di intenti chiarificatori semplicemente “esoterico”, se specialmente ci riferiamo a quella sorta di “metastoria” che pur a distanza di anni ancora non è stata storicamente chiarita del tutto. Si sa per certo che la ricerca costante di una “razza superiore” quella Ariana era alla base proprio della follia nazista così come lo studio esasperato della magia e della stregoneria come vere e proprie armi da usare per la distruzione di massa. Anche la costante ricerca di “oggetti leggendari” e antiche reliquie alle quali venivano attribuite proprietà magiche sconcertanti, come l’Arca dell’Alleanza, la Lancia del centurione Longino o anche il Sacro o Santo Graal per fare alcuni esempi fra i più conosciuti, era alla base di molte delle spedizioni naziste in luoghi spesso lontani e impenetrabili come prova dell’antica esistenza di questa “razza superiore”.

Uno di questi luoghi che interessò a lungo soprattutto uno dei delfini di Hitler, Heinrich Himmler anche lui ossessionato da tali ricerche per conto dell’Ahnemerbe (sorta di nucleo di ricercatori dell’occulto militarizzato), fu fra le altre decine di luoghi esplorati spesso senza grossi risultati, il castello di Houska in Cecoslovacchia, un edificio assai misterioso per le sue inquietanti caratteristiche e presunte presenze si dice addirittura demoniache che lo avrebbero costantemente abitato.

lunedì 13 marzo 2023

Chi era davvero l’uomo dalla maschera di ferro?

di Chiara Sacchetti

Fra le misteriose figure del passato ce n’è una che ancora oggi non ha trovato una risposta soddisfacente alle numerose supposizioni che nel corso dei secoli si sono succedute, fra le quali anche alcune di illustri uomini del passato e che hanno dato, fra l’altro, anche ispirazione a Dumas per il quarto romanzo sulla sua famosa saga dei Tre Moschettieri.

 

Come nasce la storia?

Voltaire ritratto da Nicolas de Largillière, 1724–1725, Institut et Musée Voltaire)

Mentre il filosofo francese Voltaire era imprigionato per qualche mese nella Bastiglia venne a sapere che in una cella non lontana dalla sua c’era stato un prigioniero che veniva comunemente chiamato “La maschera di ferro”, perché indossava sempre sul volto una maschera di velluto nero, assicurata da cinghie metalliche. All’uomo, ormai avanti con gli anni, erano riservati trattamenti diversi, come cibo scelto e abbondante, vestiti costosi, possibilità di tenere in cella libri e persino un liuto, e stabiliti, lo scoprirà poi, direttamente dal ministro francese della guerra, il marchese di Louvois. Il detenuto, venne poi a sapere Voltaire una volta uscito dal carcere, era morto all’improvviso nell’autunno del 1703 ed era stato seppellito nel Cimitero di Saint-Paul-des-Champs a Parigi sotto le mentite spoglie di Marchiergues o Marchioly. Ma oltre a molti diritti, il detenuto, aveva anche altrettanti obblighi, come il divieto di parlare con chiunque, escluso il confessore (ma solo in confessione), l'ufficiale comandante della guardia quando doveva chiedere qualche cosa che riguardava la sua detenzione e con il medico quando si fosse ammalato. Inoltre poteva togliersi la maschera solo per mangiare e per dormire, mentre la doveva indossare ogni qualvolta si trovava in presenza o in vista di qualunque altra persona. Gli erano consentite anche brevi passeggiate nel cortile della fortezza, sempre mascherato e sotto stretta sorveglianza delle guardie.

Questo misterioso individuo ha appunto dato nel corso dei secoli avvio a molte ipotesi e possibili spiegazioni. Vediamone alcune.

 

Il gemello o il fratellastro di re Luigi XIV

Ipotesi abbastanza improbabile attribuita a Voltaire, e che ha dato fra l’altro l’ispirazione a Dumas per il suo romanzo, è quella che dietro alla maschera di ferro si nascondesse il fratellastro o il gemello di Luigi XIV, unica spiegazione plausibile secondo il filosofo e scrittore, dato che la presenza di un altro “re” nato esattamente assieme a quello ufficiale, avrebbe creato non pochi problemi. Difficile però che tale idea possa corrispondere a realtà per il semplice fatto che a quel tempo, il parto non era certamente un momento intimo per la regina che si trovava circondata da numerosissime persone che dovevano fare da testimoni che il figlio fosse vero. La circostanza non portava sicuramente a poter nascondere eventi e fatti e sarebbe stato alquanto irrealizzabile riuscire ad occultare la nascita di un altro bimbo, senza contare che ogni evento era registrato in un apposito documento di corte.

giovedì 9 marzo 2023

Il “sogno” di Ferdinando Panciatichi Ximenes. Il Castello di Sammezzano

di Mario Pagni

In età giovanile nelle nostre gite domenicali era pressoché d’obbligo fra le gite fuori porta da Firenze, spingersi con le più incerte auto di allora fino a Leccio su una delle vecchie viabilità che riportavano da un altro vallone verso il Pratomagno e la Vallombrosa. In uno slargo sulla sinistra venendo da Firenze un vecchio cancello che non riusciva a nascondere una grande collina boscosa con alberi giganteschi costituiva il primo diaframma fra il mondo moderno e il fascino antico di un parco e di un edificio posto in cima alla collina ancora e forse per sempre immersi in una realtà totalmente surreale: il Castello di Sammezzano. Già il nome dal punto di vista strettamente architettonico non chiariva bene di che costruzione si trattasse. Il vicino castello dell’Incisa Valdarno visibile anche dall’autostrada costituiva invece un raro e ancora limpido esempio di un passato tardo-medievale dove rocche e veri castelli imperversavano sul territorio toscano.

Il castello, ingresso principale

I castelli nel XIX secolo invece avevano smesso di essere luoghi pensati per incutere timore e rispetto, meri bastioni difensivi che presiedevano alla sorveglianza di territori e regioni. Nell’Ottocento i castelli diventarono luoghi di una memoria immaginata, di una nostalgia legata ad atmosfere medievali cavalleresche che forse avevano pochi legami con la realtà storica, ma che risultavano irresistibili per l’ambiziosa borghesia trionfante. E talvolta i castelli potevano rappresentare mondi lontani, esotici, utopie eclettiche che vennero successivamente raccolte sotto l’ombrello di “architettura orientalista”. Uno degli esempi più chiari in Italia di castello neomoresco e orientalista è appunto quello di Sammezzano, nei pressi di Leccio a Reggello, a poca distanza da Firenze. Questo curioso edificio costituisce, insieme a quella deliziosa follia che è la Rocchetta Mattei vicino a Bologna, l’esempio più insigne di un’epoca in cui l’eclettismo osava l’impensabile. Il committente fu Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona, che iniziò i suoi lavori di restauro nel 1853, proprio l’anno ironia della sorte  in cui l’ammiraglio statunitense Matthew C. Perry prendeva a cannonate la città di Edo (attuale Tokyo) in Giappone, aprendo i porti del Sol Levante al libero scambio con i mercati occidentali e dando il via alla moda, anzi la frenesia del japonisme in Occidente.

lunedì 6 marzo 2023

L’ermetismo

di Chiara Sacchetti

 

"Innalzati oltre ogni altezza, discendi oltre ogni profondità, raccogli in te tutte le sensazioni delle cose create, dell'acqua, del fuoco, del secco, dell'umido. Pensa di essere simultaneamente dappertutto, in terra e mare e cielo: che tu non sia mai nato, che tu sia ancora embrione, giovane e vecchio, morto e oltre la morte. Comprendi tutto insieme: i tempi, i luoghi, le cose, le qualità e le quantità".

Fra le dottrine filosofiche ed esoteriche non possiamo tralasciare quella dell’Ermetismo, una corrente che racchiude vari autori, in particolare greci, che durante il cosiddetto periodo ellenistico elaborarono un insieme di dottrine mistico-religiose e filosofiche alle quali si affiancarono teorie astrologiche di origine semita, elementi della filosofia di ispirazione platonica e pitagorica, credenze gnostiche e antiche procedure magiche egizie.

Il nome della corrente deriva dal suo fondatore, personaggio più immaginario che storico di Ermete Trismegisto, prima divinità greca-egizia e poi presunto personaggio reale (ma quasi sicuramente inventato) nonché autore di importanti quanto fondamentali testi esoterico-alchemici.

Ermete Trismegisto in un intaglio nel pavimento del Duomo di Siena

 

Le origini dell’Ermetismo

La nascita dell’Ermetismo è da collocarsi tra il I e il III sec. d.C. quando si formò un corpus di testi frammentari di età tolemaica e altri di filosofi pagani attribuiti per lo più ad Ermete e solitamente divisi fra tecnici, ossia scritti astrologici, alchemici e più in generale riguardanti le scienze occulte, oltre che, trattati di contenuto in prevalenza filosofico e teologico. In particolare troviamo 17 scritti (il cosiddetto Corpus Hermeticum) redatti in greco, un trattato in latino dal titolo Asclepius attribuito erroneamente ad Apuleio di Madaura (125–180 circa), e una serie di sunti inseriti nelle opere di Stobeo (V secolo). Ne risultò un complesso di scritti senza un vero e proprio filo conduttore ma che avevano solide basi e citazioni di antichi autori, quali Platone, Aristotele, i filosofi stoici e concetti giudaici e persiani. Non solo. Alla base dell’Ermetismo c’è un interessamento comune mistico e religioso centrato sulla cosmogonia, una concezione dell'universo, basata sulla interconnessione tra le sue parti, il microcosmo dell'individuo connesso al macrocosmo dell'universo. È solo l’Ermetismo, nella concezione filosofica alla base di questa dottrina, che può aiutare a trovare la rivelazione del rapporto fra astri e uomo e che porta al raggiungimento di quella catarsi intellettuale capace di realizzare il destino dell'anima dopo la morte e della sua reincarnazione e ascesa al mondo celeste.

giovedì 2 marzo 2023

L’eclettica “Rocchetta” di Cesare Mattei fra realtà simboliche e architettoniche e terapie ottocentesche d’avanguardia

di Mario Pagni

Rocchetta Mattei veduta panoramica d'insieme

Stavolta parliamo di una costruzione e del suo ideatore e proprietario che da qualche tempoa questa parte desta molta curiosità e nuovi interessi per i messaggi visivi e umani al tempo stesso che riesce a comunicare ancora a distanza di anni. È il caso del castello di Rocchetta Mattei un edificio situato nel comune di Grizzana Morandi, più precisamente in località “Ponte” nelle vicinanze di Bologna, dalla quale dista circa 50 chilometri. Tutta la struttura è adagiata sulla sommità di un rilievo alto 400 metri: a fare da sfondo spiccano le montagne dell’Appennino settentrionale, che creano attorno una suggestiva cornice. Anche per questo motivo la rocca è considerata uno dei punti migliori dal quale ammirare tutti i Colli Bolognesi. Architettonicamente parlando l’edificio ricalca a pieno titolo una sorta di eclettismo “illuminato” corrente artistica particolarmente in voga fra la metà e la fine del XIX secolo ma che ha avuto seguito ed estimatori seppure in certi ambiti anche in tempi più recenti. Nella realtà dei fatti la “Rocchetta” segue pedissequamente canoni architettonici ideati e voluti dal suo stesso proprietario quel Cesare Mattei noto benefattore di tutti gli abitanti della vallata e che in quegli anni stupirà anche per la creazione di un nuovo rivoluzionario sistema di cura applicabile universalmente denominato “Scienza Elettromeopatica” della quale parleremo a seguire.

La cappella della Rocchetta Mattei interno

 

Ma chi era Cesare Mattei

Cesare Mattei nacque a Bologna l'11 gennaio 1809 da famiglia agiata, e crebbe a contatto con i massimi pensatori dell'epoca come Marco Minghetti e Paolo Costa. Nel 1837 fu uno dei fondatori della Cassa di Risparmio di Bologna. Ricevette il titolo di conte nel 1847 da papa Pio IX a fronte di una donazione terriera in quel di Comacchio che avrebbe aiutato lo Stato pontificio a fermare l'avanzata austriaca. Venne nominato Deputato al Consiglio di arruolamento della Guardia Civica Bolognese con il grado di tenente colonnello e capo dello Stato Maggiore, carica che venne poi abbandonata in quanto eletto, nel 1848, deputato al Parlamento di Roma. Nel 1850, dopo la morte della madre a causa di un tumore al seno, decise di ritirarsi dalla vita politica per dedicarsi allo studio della medicina. Acquistò i terreni dove sorgevano le rovine dell'antica rocca di Savignano (oggi la Rocchetta Mattei) e il 5 novembre dello stesso anno pose la prima pietra del castello al quale avrebbe dato questo nome e dove si stabilì definitivamente a partire dal 1859. Nel 1895, ormai anziano e reso paranoico dalle continue dispute con i medici allopatici, a causa di una incomprensione con la nuora (sospettata di aver tentato di ucciderlo servendogli un caffè avvelenato), cacciò lei e Mario Venturoli suo seguace dal castello e in seguito li diseredò. Morì il 3 aprile 1896 alla Rocchetta, all'età di 87 anni, a causa di un'influenza sfociata in asma che lo affliggeva fa tempo.