lunedì 23 gennaio 2023

Giulia Tofana, l’avvelenatrice di uomini

di Chiara Sacchetti

Molte sono le figure femminili del passato, donne che nel bene e nel male hanno lasciato la loro impronta nel percorso della storia, rimanendo figure che ancora oggi vengono ricordate.

Oggi parliamo di Giulia Tofana, una fattucchiera sui generis che ha aiutato moltissime donne a liberarsi del rispettivi mariti perché vittime di matrimoni infelici se non addirittura violenti e rimasta nella memoria come una vendicatrice. Ma vediamo tutta la vicenda.

 

Chi era Giulia Tofana?

Forse era la figlia o la nipote di Thofania d'Adamo, giustiziata a Palermo il 12 luglio 1633 per aver avvelenato il marito Francesco, cosa che spiegherebbe anche tutte le sue conoscenze in fatto di veleni.

Giulia Tofana

Nacque a Palermo vicino al quartiere del Capo, dove avveniva fra l’altro la tratta degli schiavi, in un anno compreso tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600; la ragazza, rimase sola ancora giovane e non ebbe la possibilità di studiare restando così completamente analfabeta. La condizione in cui si trovava non le permetteva una vita lussuosa e nei primi tempi Giulia, bella e giovane, si mise a fare la prostituta ma poi, stanca di questa vita, decise di sfruttare le competenze che aveva e si dedicò alla realizzazione dei veleni, di cui aveva una profonda conoscenza e in particolare la famosa acqua tofana.

 

L’acqua tofana

Tradizione vuole che questo veleno fosse stato inventato, almeno nelle basi, da Thofania d’Adamo, zia o madre di Giulia che lo aveva usato per uccidere il marito violento. Poi la ragazza, con le conoscenze avute dalla zia/madre lo avrebbe perfezionato rendendolo il perfetto metodo per uccidere chiunque si volesse.

Ritratto di una boccetta di acqua tofana recante l'immagine di San Nicola di Bari (opera di Pierre Méjanel)

Si trattava infatti di una pozione letale assolutamente inodore e insapore composta da un miscuglio di belladonna, acqua, bacche e altre piante e il piombo. Giulia cominciò a vendere l’intruglio a tutte le donne che imprigionate in un matrimonio violento e non felice le chiedevano aiuto per liberarsi da quella vita  spacciando l’acqua tofana per un cosmetico femminile prodigioso.

 

La prima accusa

Piano piano però la situazione cominciò a destare qualche sospetto, la fama di Giulia si ingrandì e la Santa Inquisizione iniziò a sospettare la verità. Come se non bastasse, alla fine, il marito di una donna aveva scoperto il tranello perché la moglie non si era attenuta alle indicazioni e l’uomo, sopravvissuto, aveva denunciato Giulia per tentato omicidio. La ragazza, che nel tempo si era fatta amicizie importanti, accettò gli approcci di un frate, ne divenne l’amante e con il suo aiuto scappò a Roma.

Palermo

 

La vita a Roma e la seconda accusa

A Roma Giulia cambiò vita, decise di intraprendere gli studi e lasciarsi alle spalle veleni e omicidi rifacendosi una vita con il religioso. Ma un giorno un’amica le confidò l’infelicità e la violenza del marito e la donna ritornò ai suoi vecchi affari. Grazie all’amante trovò tutti gli ingredienti necessari per il veleno e lo consegnò all’amica. Riprese le sue antiche abitudini e ben presto la sua clientela aumentò, ma come accadde nella sua città fu una cliente poco precisa che la condannò. La contessa di Ceri mise l’intera bottiglietta nella zuppa del consorte che perì all’istante, ma la morte destò non pochi sospetti fra i familiari che ne chiesero un’inchiesta e in poco tempo l’acquirente confessò la verità.

 

La condanna

Questa volta purtroppo nessuno aiutò Giulia che venne denunciata e imprigionata con l’accusa di tentato omicidio, assieme anche alla figlia Girolama e alle compagne Giovanna de Grandis, Maria Spinola soprannominata "Grifola", Laura Crispolti e Graziosa Farina. Durante il processo sotto tortura la donna ammise di aver ucciso più di 600 uomini ma qui la storia si fa incerta. Alcune fonti dicono che Giulia sia riuscita a scappare mentre altre raccontano che fu condannata a morte nel 1659 e arsa sul rogo a Campo dei Fiori, mentre le “vedove” furono murate vive a Porta Cavalleggeri, alcune anche torturate pubblicamente mentre le altre strangolate. Solo poche di esse scamparono al loro destino dichiarando che le boccette erano per uso cosmetico.

Piazza Campo dei Fiori in una foto vecchia

L’acqua tofana continuò ad essere usata fino a tutto l’Ottocento facendo, si dice, anche vittime illustri, mentre Giulia per tutte le donne rimase nella memoria come un’eroina.

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