lunedì 20 gennaio 2020

Le Sibille


di Chiara Sacchetti

«La Sibilla con bocca invasata pronunzia cose tristi, senza ornamento né profumi e attraversa con la sua voce migliaia d'anni per opera del nume» (Eraclito, 92, Diels).
Quando si parla di Sibille si dovrebbe in realtà parlare al singolare, almeno per i primi tempi, fino ad Aristotele quando si comincia a riferire di più di una e distinte per località, fino ad arrivare a vere e proprie liste di 10 o addirittura 20 come nel caso di Varrone.
Sibille (1598)
Figure storiche e allo stesso tempo mitologiche, collocate in diverse zone del Mediterraneo soprattutto nelle epoche più tarde quando la loro credenza e il loro culto si fecero più ampie, le Sibille erano fanciulle vergini, che davano i loro vaticini quando venivano possedute dal dio, da cui erano ispirate e che di solito era Apollo. La loro illibatezza era una prerogativa senza la quale non avrebbero potuto unirsi al dio stesso  al quale si concedevano: dalla loro unione (non di certo fisica), o possessione, per mezzo di un afflato amoroso, avveniva una conseguente gravidanza, che dava alla luce il loro vaticino. Le loro previsioni erano volutamente difficili da comprendere, per lasciare spazio a illusioni e anche a interpretazioni a vario proprio piacimento, forse più per una rassicurazione personale di chi ne chiedeva il responso che per un reale bisogno di sapere la verità. Erano versi in esametri greci, scritti in un forse provocato stato di trance e di inconsapevole frenesia, e acrostici per memorizzarli meglio e probabilmente come garanzia di inalterabilità. Di solito quesiti e risposte avvenivano in grotte o vicino a sorgenti d’acqua, luoghi fra l’altro, dove queste donne vivevano e ai quali ambienti erano associate.
Dante Gabriel Rossetti, La Sibilla
La figura della Sibilla viene vista anche come una concezione di livello popolare nel quale viene riconosciuta alla donna una migliore attitudine di essere posseduta da una divinità rispetto all’uomo, una maggiore recettività conseguente di esprimerne quindi la volontà. Potrebbe sembrare una visione positiva, che rivaluta questa figura, ma se si pensa che per lo stesso motivo, ovvero la mancanza di volontà e di forza, le donne a partire dal Medioevo venivano viste prima come eretiche, poi come streghe, sottomesse alla volontà del diavolo non è difficile pensare che fosse una caratteristica negativa del genere femminile.
Michelangelo, La Sibilla Libica, Roma, Cappella Sistina
Sconosciuta l’etimologia della parola, si pensa che Sibilla fosse il nome di una delle veggenti più antiche, forse la Sibilla Libica, probabilmente in riferimento a Euripide che nelle sue tragedie (opera perduta) riferì il gioco di parola Sybil/Lybis. La donna era figlia di Zeus e di Lamia, (la figlia di Poseidone), e fu così chiamata dai Libici ai quali rendeva gli oracoli. Un’altra tradizione invece racconta che la prima Sibilla fosse il nome della figlia di Dardalo e di Neso, a sua volta figlia di Teucro, che ebbe fama di indovina e per questo il suo nome è stato poi dato a tutte le profetesse. Alcuni storici, come Varrone, invece sostengono che la parola derivi dal popolare greco sioù-boùllan anziché di theoù-boulèn, che significherebbe «la volontà, la deliberazione del dio». Le Sibille agivano e profetizzavano infatti per tramite della stessa divinità e dalla stessa divinità.
Si narra invece che la seconda Sibilla fosse Erofilia, nata nella Troade, e figlia di una ninfa e di un mortale, un certo Teodoro, un pastore dell’Ida, che in uno dei suoi primissimi oracoli aveva preannunciato la rovina di Troia per colpa di una donna di Sparta (Elena) e la conseguente guerra. Nata in una grotta, da piccolissima fu consacrata al dio Apollo contro la sua volontà, cominciando subito a vaticinare. La profetessa, dopo aver viaggiato a Claro, Samo, Delo e Delfi con la sua pietra sulla quale saliva per profetizzare, e dopo aver fatto numerosi vaticini, morì nella Troade e la sua tomba era mostrata nel bosco d’Apollo Sminteo. Unica Sibilla greca, questa figura viene spesso ritenuta come un naturale sviluppo del culto di Dioniso, anch’esso caratterizzato dalla possessione demoniaca, e associata anche alla figura della Pizia. Quest’ultima però differisce dalla profetessa per avere una manifestazione più controllata e determinata nel modo e negli effetti, con uso di sostanze allucinogene e perché legata ad un luogo prestabilito. Ma ne parleremo in modo più approfondito in un prossimo articolo.
Andrea del Castagno, La Sibilla Cumana, Ciclo degli uomini e delle donne illustri, Firenze, Villa Pandofini (e Gallerie degli Uffizi)
Una delle profetesse più famose è la Sibilla Cumana, così chiamata perché legata alla località di Cuma, nell’Italia meridionale e spesso ritenuta la stessa Sibilla Erofila d’Eritre: Apollo le aveva dato la possibilità di vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che poteva tenere in mano a patto solo che non tornasse nel suo luogo d’origine. Ma il destino ha volte ci mette del suo e accadde che gli Eritrei le mandarono una lettera con un sigillo fatto della sua stessa terra, fu così che vedendolo la Sibilla morì.
Legati a questa figura mitologica troviamo i Libri Sibillini, una raccolta di testi oracolari utilizzati nella religione romana, più antica prova dell’influsso greco a Roma proveniente dall’Italia meridionale. Per questi testi era stato istituito un collegio sacerdotale, prima di 2, poi di 10 e infine di 15 membri, incaricato della consultazione di questi oracoli, nei momenti più difficili della storia romana, come calamità naturali o periodi di crisi dello Stato. Di solito la soluzione a questi problemi veniva risolta prescrivendo supplicazioni, sacrifici, edificazioni di nuovi templi, e con questi spesso l’introduzione di nuovi culti, perlopiù greci.
Secondo la tradizione i libri furono venduti dalla stessa Sibilla al re Tarquinio Prisco o Tarquinio il Superbo, ma non si tratterebbe dell’intera opera originaria: la profetessa, racconta il mito, avrebbe prima offerto l’intera collezione di 9 volumi,  ma al primo rifiuto del re ne avrebbe distrutto prima un terzo, e poi al secondo un altro terzo. I rimanenti testi furono custoditi nel tempio di Giove sul Campidoglio fino all’incendio dell’83 a.C. che li distrusse completamente.  Augusto ne ordinò allora una nuova raccolta che fu posta nel tempio di Apollo sul Palatino, controllata da esperti per le numerose infiltrazioni di falsi , tali testi  furono consultati fino al tempo di Giuliano l’Apostata ma successivamente bruciati, per ordine di Stilicone, intorno al 400 d.C.. Oggi ne restano solo alcuni frammenti.
I testi sibillini furono raccolti dagli Ebrei della diaspora e messi insieme collegandoli con una più antica letteratura profetica pagana, facendo così attribuire alla Sibilla e ai suoi precetti e vaticini, i capisaldi della fede ebraica, fra cui il monoteismo, la condanna del culto degli idoli, la giustizia di Dio per tutte le genti e la prospettiva apocalittica.

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