Con
l’esaurirsi della originale dottrina pitagorica che nel corso del V sec. si era
diffusa in molte città del mondo antico, in ambito romano nel periodo tardo
ellenistico si stavano diffondendo nuove dottrine filosofiche di tipo settario
come lo gnosticismo, il neoplatonismo e appunto il neopitagorismo, tutte
accomunate da aspetti salvifici ed eclettici.
Il nostro Neopitagorismo si sviluppò fra il I sec. a.C. e il III sec. d.C. in aree e culture Mediterranee rielaborando i testi che vari autori, sulla scia degli insegnamenti che erano stati precedentemente trasmessi oralmente nelle varie cerchie esoteriche, avevano messo per iscritto accentuando gli aspetti morali e religiosi della dottrina derivati principalmente dall’origine orfico-misterica ma tralasciando però di fatto l’orientamento più matematico e scientifico. Alla base di tutti i pensieri troviamo infatti la divinizzazione e il culto del suo fondatore: la figura di Pitagora, infatti, come ci racconta Nigidio Figulo, primo esponente del I secolo a.C. di questa corrente, astrologo, mago ed esoterista oltre che esperto matematico, in questa nuova corrente finì per essere addirittura venerato e successivamente definito come un mago per le sue esperienze sacerdotali egizie, babilonesi e cabalistiche. Ma non solo. Anche la dottrina stessa subì radicali cambiamenti allontanandosi dall’originario pensiero per riversarsi in una concezione dove facevano capo un marcato dualismo, la concezione di un ordine matematico del mondo, la presenza di spiriti che mediano con l’essere umano e la possibilità di ricevere leggi divine per una rivelazione divina. Era infatti quest’ultima, nella nuova concezione filosofica, che doveva portare alla verità assoluta, e non più come nella tradizione precedente con la matematica, il numero, la figura geometrica, la dialettica e tutto ciò che ad essa era legata.